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Loving

Regia di Jeff Nichols vedi scheda film

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La recensione su Loving

di lussemburgo
9 stelle

È soprattutto una storia d’amore quella che, con attenzione e dignità, racconta Jeff Nichols in Loving, la storia di un matrimonio misto nella Virginia degli Anni 60, quando, altrove, i diritti si facevano largo mentre in quello Stato la giustizia amministrava quella che ritenevano essere la parola di Dio sulla non mescolanza delle razze. È un film educato e profondo, a dispetto della sua apparente semplicità, costruito sulla recitazione introspettiva di Ruth Nigga, delicata e sfumata (e meritatamente candidata agli Oscar), e su quella più fisica e corporale di Joel Edgerton, entrambi con il tono di voce sommesso degli umili a cui, incredibilmente, viene data la parola per la strana congiuntura dei tempi. Nichols gira ad altezza d’uomo e con una regia quasi trasparente, senza effetti, nemmeno musicali, costruita attorno ai personaggi e agli attori che danno loro vita, seguendone le vicissitudini senza l’epica della lotta per i diritti civili, a loro estranea, e che li riguarda soltanto per i riverberi che hanno sulla loro quotidianità, su un’armonia incrinata da un’incomprensibile ingiustizia. Se fuori campo la società avanza, i Kennedy e i Luther King alzano la voce prima di soccombere alle pallottole, e i diritti si espandono, i due protagonisti rimangono spettatori di una rivoluzione che si svolge e scoppia altrove, rimbalza sui teleschermi ma si manifesta altresì quando una donna, anche nera, prende il volante e la guida della famiglia. Pronti ad accettare proni la legge, eppure a cercare di raddrizzarne le storture a costo dell’illegalità, ai Loving basterebbe trovare una parvenza di normalità e di felicità nella convivenza, pur nella tensione di doversi occultare in uno stato che non accetta la coabitazione né, tantomeno, il matrimonio tra bianchi e neri. Ma è Mildred a cercare una soluzione che non sia la sola clandestinità dei sentimenti e della famiglia, a intravedere la speranza nella legge, anche se dei bianchi e della lontana e quasi incomprensibile Corte Suprema, a scrivere a Bob Kennedy per sognare effettivamente qualcosa di diverso e di meglio, maggiormente in sintonia con quei tempi che, dopotutto, stanno cambiando. Massiccio e roccioso come la sua recitazione, Richard Loving abbraccia del proprio amore la donna che ha scelto per la vita e la famiglia per il cui sostentamento lavora, refrattario ad ogni intervento che procrastini nell’incertezza la concretezza dell’esistenza e della serenità, tanto che il suo unico argomento, al di la di ogni accezione legale e ingarbugliato comma, è la veridicità di un amore, la semplicità di un sentimento complicato solo dalle leggi di altri uomini. E, come, lui, il film è orizzontale e lineare, procede sullo scorrere del tempo ma si incide nelle emozioni che suscitano gesti e parole dei protagonisti, o il solo sussurro e l’inarcare di sopracciglia. La verità, pur recitata, emerge nelle sfumature di una vita immortalata da fotografie e da un documentario che hanno dato il materiale grezzo per un film intimo nella sostanza e collettivo solo sullo sfondo, che racconta un paese dentro una famiglia e non si perde nelle secche del biopic esemplare e più istituzionale, nel dover raccontare il passare degli anni solo nei loro momenti più significativi ed emblematici. Loving rimane concreto come il suo protagonista, la cui qualità più importante, a detta della moglie, è la costanza, di essersi preso cura di lei e della famiglia, anche a dispetto della legge e delle rispettive origini, degli intricati e opposti razzismi che li volevano separare o nemmeno li concepivano insieme. Ed è anche un film perfettamente in linea con la filmografia di Nichols, tutta centrata sulla famiglia, sulla sua tenuta imperterrita, su un amore imperituro e implacabile che si mantiene saldo a dispetto delle convenienze e delle convenzioni, alimentato da un’idea fissa che diventa ossessione per chi osserva, inconcepibile o indicibile per gli altri ma perfettamente logica espressione della responsabilità familiare per i protagonisti, unica rappresentazione quasi plastica del proprio affetto. Così l’operaio rurale che si scava un bunker in attesa di un imminente apocalisse di cui nessuno altro ha sentore (Take Shelter) si inimica tutti, il padre di un ragazzo dai poteri sovrannaturali (Midnight Special) percorre di nascosto il paese per non consegnare il figlio a qualsiasi autorità, religiosa o governativa, oppure un ricercato esce dal suo nascondiglio sicuro per ritrovare l’amata, al costo di una sanguinosa e inevitabile faida familiare (Mud). Perché le loro ragioni hanno, in fondo, una motivazione, imperscrutabile quanto precisa, personale e apparentemente incomprensibile, ma ferrea e indiscutibile: l’affetto prevale sempre, sulla logica diffusa e sulla legge degli uomini, ed è ad esse cieco quanto, in essenza, per i protagonisti, perfettamente avveduto.

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