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Una Vita, Une Vie

Regia di Stéphane Brizé vedi scheda film

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La recensione su Una Vita, Une Vie

di supadany
8 stelle

Venezia 73 – Concorso ufficiale.

Non sempre il punto di partenza e l’approdo sono determinanti, a volte il peso specifico risiede nel tragitto. Stéphane Brizé, gia apprezzato a Cannes 2015 con La legge del mercato, adatta un romanzo di Guy de Maupassant ma fa tutto ciò che si potrebbe auspicare per non fermarsi all’espletamento del più classico dei compitini.

Il centro di gravità è collocato in questa imponente decisione d'autore, vista l'evidenza delle scelte figurative adoperate con coerenza fin dalla prima immagine, con il tempo che sfugge dalle mani, all'interno di una dimensione soffocante.  

Francia 1819, Jeanne (Judith Chemla) è una giovane e speranzosa figlia di una famiglia altolocata che sposa Julien De Lamare (Swann Arlaud) ma i suoi sogni d’amore devono scontrarsi con la dura realtà, che vede il marito propenso ad amoreggiare con altre donne.

In qualche modo, riesce a superare questo prolungato momento di difficoltà e ad avere un figlio, che nel corso del tempo la porterà ad affrontare nuove catastrofi, non solo affettive ma anche materiali.

 

Judith Chemla

Una Vita, Une Vie (2016): Judith Chemla

 

L’opera di Stéphane Brizé è in estremo accordo con le immagini, a partire dal formato 4:3 che incolla l'obiettivo ai suoi personaggi senza comunque negarci brevi scorci, soprattutto del mare, con il suo spirito di una sconosciuta, quanto desiderata, libertà e felicità, e della campagna che circonda le tenuta, dove è concentrata l'azione o almeno tutto ciò che al nostro occhio è concesso di vedere.

Tra un matrimonio che non regala le sospirate gioie, il declino di un nobile nome senza possibili vie di fuga e quella cieca speranza tipica di chi non può vedere con la giusta distanza ciò che le si sviluppa attorno, viene espletata l’intrinseca decadenza di una figura femminile, attraverso una descrizione senza remore di uno stato subordinato, con uno sviluppo avvolto da un’incredibile malinconia, perennemente riecheggiante nell'ambiente.

Fondamentale l’apporto di Judith Chemla, un colpo al cuore (e a Venezia 73 le figura femminili annientano la controparte maschile); ovvio che molto dipenda dal personaggio e dal suo essere inquadrato fuoriuscendo dai vincoli più ordinari, ma la sua interpretazione, un miscuglio espressivo tra la speranza di nuove occasioni e il dolore per le ripetute sconfitte, regala una rara immersione, con il sentimento troppo forte per poter interpellare il raziocinio e la sensibilità a trasformarsi in una debolezza fatale. E nel nome di una forza centripeta totalizzante, interpreti di richiamo, quali sono da sempre Jean-Pierre Darroussin e Yolande Moreau, sono resi quasi irriconoscibili, puri strumenti di contorno.

A trionfare è comunque la forma. Une vie è una specie di quadro in movimento, dove lo stile affianca, per non dire sopravanza, il testo, senza trascurare una rappresentazione che taglia e cuce con convinzione, uscendo dai canali del classico più puro, che probabilmente avrebbe reso la pellicola più piatta o comunque omologata (peraltro, come era facilmente ipotizzabile).

Così, l'impronta imposta fa tutta la differenza del mondo, accompagnando lo spettatore al cospetto di un’essenza inattesa, completamente immersa e avvolta in un dramma umano senza i desueti escamotage, con una scomposizione temporale che denota evidenti, quanto affascinanti, abilità riassuntive e compositive, così tremendamente nitide (non vi sono svaghi fini a se stessi), un rimando nella storia, tra ricordi e presente, azioni del soggetto che diventa oggetto di reazioni al quadrato.

Aggiungendo la percettibile volontà di non approfittare del coup de théatre, optando per la valorizzazione di un nucleo magnetico con le sue conseguenze, Une vie è un'opera che non accetta le mezze misure, probabilmente il più illustre escluso dalle liste dei premi di Venezia73.

Radicale.

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