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Tiramisù

Regia di Fabio De Luigi vedi scheda film

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La recensione su Tiramisù

di M Valdemar
2 stelle

 

locandina

Tiramisù (2016): locandina



E ci vuole ben altro che una generosa porzione di delizioso tiramisù per mandar giù questa poltiglia stoppacciosa firmata niente meno che Fabio De Luigi.
Scrive, dirige, interpreta, ci mette la faccia (in ogni singolo fotogramma, ahinoi): la "ricetta" perfetta per una commedia leggera; così leggera e senza pretesa alcuna che la pesante inconsistenza lievita nell'ammorbamento.
Un'esperienza drammaticamente soporifera, indigesta, tediosa, la visione di cotanto lavoro sorto sotto le grandi ali Medusa-Colorado Films (e si vede), e giustamente premiato col riconoscimento di "interesse culturale" dal Mibact.
Sorprendente, nevvero? Beh, senz'altro più di qualsiasi sequenza o siparietto o "battuta" o situazione generica accatastati - in evidente stato confusionale - nel film.
Che è come se fosse il parto di uno sketch televisivo magari troppo lungo di Medioman che si mette nei panni di un regista: solo che non fa ridere, mai; e mai strappa neppure un seppur vago sorriso a denti stretti, mai sfiora il grottesco, o il demenziale, o persino il triviale.
Tutto ruota attorno alla figura del protagonista - sorta di esemplare fantozziano malriuscito al soldo dell'industria sanitaria - e alle "fortune" lavorative ottenute unicamente grazie all'inimitabile tesoro culinario preparato dalla moglie: il tiramisù.
Ma preparato col latte di soia, eh.
Un'adulterazione inaccettabile, quasi quanto subire un'ora mezza di una storia senza ritmo, senza capo né coda né idea che sia una, se non quella di seguire le simpatiche vicende del (fu) simpatico De Luigi.
Interessantissimo. Come seguire un documentario su origini e prospettive future delle supposte.
Risibili - con connotazioni che vanno dall'insignificante al penoso - tanto le "gag" (immaginabili gli sforzi cerebrali per preparare quella sugli omosessuali, o la scenetta al cinema) quanto i risvolti "satirici" (la malasanità, l'affarismo, gli intrallazzi politici) che comunque stanno in prudentissima modalità extralight.
Nel mucchio, un manipolo di comprimari inzuppati che poco possono o poco fanno: chi sa di già visto, chi si limita a restare neutro/anonimo/trascurabile, chi si fa notare per incapacità e attitudine a trasmettere insopprimibile fastidio.
E Pippo Franco che fa cucù vestendo i panni di "guida morale". Ci sta, ci sta.
Meno Vittoria Puccini, che appare chiaramente a disagio (ad esempio quando deve abbozzare un minimo di drammaticità) ma dallo sguardo sempre luminoso.
Finale in linea con la molestia e la sciatteria generali. Che pena.

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