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Fino alla fine del mondo

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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La recensione su Fino alla fine del mondo

di barabbovich
5 stelle

1999. Mentre sulla Terra incombe la minaccia della caduta di un meteorite, Claire (Solveig Dommartin), derubata da un rapinatore di banche (William Hurt) al quale ha dato un passaggio in auto, gira per mezzo mondo al seguito dell'uomo che porta con sé uno strano marchingegno costruito dal padre (Max Von Sydow) e che dovrebbe mettere la madre cieca (Jeanne Moreau) in condizioni di vedere, attraverso le onde cerebrali, le immagini da lui "filmate". Ai due errabondi si accodano un detective (Vogler), l'uomo di Claire (Sam Neill) e due rapinatori che arrivano in Australia dove assisteranno al rivoluzionario esperimento. Il fluviale kolossal di Wenders (costato 23 milioni di dollari per una durata di quasi tre ore) ha molte cose belle e molte cose brutte. Tra le prime metterei le scenografie, con i videofoni e le motociclette futuristiche che non inseguono gli eccessi degli altri film di fantascienza; aggiungerei le bellissime panoramiche in Portogallo, a Mosca, a Berlino, a Venezia, New York, Tokyo e il deserto australiano, tutti posti assai cari al regista e filmati con l'attesa devozione. Sicuramente, infine, non tralascerei la bellissima colonna sonora che include brani di David Darling, Can, Jane Siberry, Lou Reed, Neneh Cherry, Nick Cave, Patti Smith, R.E.M., Talking Heads e U2. Tra le cose brutte, però, metterei innanzitutto la trama, grigia e sconclusionata, errabonda come i suoi personaggi nei vicoli ciechi di una storia implausibile, che per tutta la prima parte è talmente criptica da sembrare senza senso (la colpa è anche delle ellissi di un film che dalle nove ore iniziali è stato ridotto a tre). Poi ci aggiungerei un peccato di presunzione che Wenders - che ha impastato fra l'altro "elementi propri del cinema commerciale con ambizioni filosofiche" (Grazzini) - ha avuto pensando che la sua compagna, la brutta Solveig Dommartin, potesse reggere il film. La donna non solo non ha le corde giuste per recitare, ma isterilisce anche la vena di un bravo attore come William Hurt che per l'intera durata del film sembra chiedersi: che ci sto a fare io qui? Sceneggiato da Peter Carey e Wim Wenders da un'idea originale di Wim Wenders e Solveig Dommartin.

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