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I bambini ci guardano

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I bambini ci guardano

di ed wood
9 stelle

Nel 1943 il regime fascista era già in stato di agonia, prima della mazzata definitiva del 25/04/45. Un triste ventennio di pessimo cinema, con un avanguardia muta inesistente seguita da una debolissima cura ricostituente a base di "telefoni bianchi", stava per essere finalmente abbattuto dalla rivoluzione neorealista. Rivoluzione sancita nel 1945 dal capolavoro rosselliniano "Roma Città Aperta", ma annunciata negli anni precedenti da varie opere che, con cautela ma anche con fermezza e indignazione, mettevano in discussione le istituzioni consacrate dal regime, in particolare il baluardo numero uno di quella ideologia conservatrice e patriarcale: la famiglia.

 
 
"Quattro passi fra le nuvole" di Blasetti prendeva le difese di una ragazza madre ripudiata dalla propria famiglia; "Ossessione" di Visconti faceva a pezzi il concetto di famiglia piccolo-borghese, sulla spinta di una passione istintiva e libertaria; "I bambini ci guardiano", firmato da un De Sica in procinto di realizzare alcuni capolavori del cinema neorealista, rincara la dose con una rappresentazione straziante di una famiglia sfasciata. Sarebbe stato davvero difficile proporre un film del genere anche solo pochi anni prima, con Mussolini a pieno "regime". Una madre che prende la decisione di scappare di casa, di abbandonare il figlioletto e di mettere le corna al marito persino in quella che avrebbe dovuto essere la vacanza della riconciliazione familiare. Un pater familias, regolarmente fascista come si imponeva all'epoca, che anzichè reagire "virilmente" al tradimento della moglie, incassa il colpo e poi si toglie la vita. Un bambino che arriva al punto di rifiutare l'abbraccio della madre, in un finale fra i più drammatici del cinema italiano.
 
 
Ma la cosa che rende notevole questa opera (un po' dimenticata solo perchè necessariamente confrontata con l'irripetibile eccelso livello dei film italiani di quel decennio, e perchè inquadrata come opera di transizione, viste certe scorie melodrammatiche o teatraleggianti) è la straordinaria sensibilità della mano di De Sica. A dispetto di quello che lasciava presagire il titolo, non c'è traccia di moralismo ricattatorio. Il bambino non viene mai recepito come strumento per fomentare lo sdegno dello spettatore benpensante, nè come oggetto di pietistica commiserazione, ma come cartina di tornasole di una crisi coniugale, specchio della cattiva coscienza dell'età adulta, termometro di un malessere esistenziale. Quando il piccolo piange, è sempre un pianto giusto, inevitabile: non è facile schivare il patetismo quando ci sono di mezzo i bambini, ma se c'era un regista in grado di farlo questo era certamente De Sica. Nel suo cinema, il dramma non veniva mai eluso, perchè l'etica neorealista non accettava (auto)censure nè addolcimenti; ma era sempre un dramma genuino, frutto diretto di una condizione di vita resa filmicamente con tutta la trasparenza e la naturalezza possibili.
 
 
Il regista rivela grande delicatezza nell'evitare giudizi bacchettoni nei confronti della responsabile del dramma, la madre, ritraendo lei e il suo amante non (cattolicamente) come due peccatori, ma (laicamente) come due persone travolte da una passione incontenibile, due esseri a cui nessuna autorità potrà mai togliere il diritto di amarsi follemente. C'è grande rigore umanista da parte di De Sica nel mostrare con onestà le conseguenze di un matrimonio fallimentare sulla persona più fragile della famiglia, il bambino, principale vittima della situazione; ma non c'è nessun mostro da colpevolizzare, nè la madre afflitta nè il padre così umiliato da togliersi la vita. De Sica rappresenta i due coniugi con tutto il pudore e la discrezione di cui è capace, e proprio per questo motivo finisce per scardinare due fasulli totem della cultura fascista: il maschio dominante e la donna subalterna.
 
 
Il film è validissimo e straordinariamente moderno anche sul piano stilistico, con un De Sica già emozionante nelle sue carrellate, essenziale senza essere scontato, attento a valorizzare i dettagli d'ambiente e i tempi morti, misurato e ispirato nel raccogliere (e in parte, trasfigurare) l'eredità del cinema passato: dal naturalismo francese al formalismo sovietico (il montaggio che si infittisce ritmicamente in un dialogo fra padre e figlio), fino all'espressionismo tedesco (la sequenza onirica, in cui si materializza tutto il disagio dei bambino, fra nonne egoiste e inquietanti marionette). "I bambini ci guardano" supera la prova del tempo, anche per il quadro desolato che restituisce di una Italia ancora lontana dal Boom, ma già volgare e superficiale (i dialoghi piccanti delle sarte; le battutine allusive dei villeggianti; i pettegolezzi dei vicini).
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