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Resident Evil: The Final Chapter

Regia di Paul W.S. Anderson vedi scheda film

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La recensione su Resident Evil: The Final Chapter

di amandagriss
4 stelle

 

 

 

la mente che cancella

 

L’origine videoludica risulta fondamentale per comprendere la messa in scena non solo schematica (intendendo per schematismo quella percezione del film come l’avanzamento da un livello -più semplice- all’altro -più difficile- che caratterizza da sempre l’universo dei videogames, quelli da bar, come i casalinghi avanguardistici più recenti), ma soprattutto frenetica della saga al cinema di Resident Evil.

Frenesia legittimata dal dover rispondere (in linea con la sua natura di virtuale giocattolo sparatutto dove più si è veloci più il risultato è performante) a ritmi di visione-azione-reazione convulsi, accelerati e, per l’occhio poco allenato, addirittura insostenibili.

Ma il cinema è un’altra cosa.

Ci sono dei tempi nel montaggio di una scena (per quanto concitata) su cui non si può transigere.

Il cinema necessita di quel tempo, seppur infinitesimale, nell’arco del quale un’immagine, un frame, sia in grado di impressionare la retina e mandare un segnale al cervello cosicché quest’ultimo registri l’esperienza e ne rilasci all'impronta il ricordo, a breve o a lungo termine che sia.

Ecco, allora, che questo capitolo conclusivo (così sembrerebbe) spiattella, con nonchalance sprezzante, svariati corpo a corpo -tra i più diffusi topoi dell’universo ludico del joystick- che riempiono intere sequenze dell’opera filmica e le cui dinamiche di causa-effetto (chi uccide chi, chi colpisce chi e cosa, come e in che successione) l’occhio non riesce a visualizzare, tanto il montaggio effettuato su di esse risulta veloce. Inafferrabile.

Schizzato come una scheggia impazzita.

A conti fatti, stressante se non frustrante per lo sguardo.

Ne deriva un guazzabuglio invisibile (e ciò è paradossale dato che il cinema è prima di tutto immagine), perché graficamente/grammaticalmente illeggibile e quindi incomprensibile.

 

 

E non è un tentativo autoriale (e neppure solamente ragionato) di offuscare il visibile, addentrarsi oltre la superficie chiara e tangibile delle cose, per scandagliare i territori dell’ignoto, dell’impalpabile, che gli occhi non arrivano a vedere lasciando ai sensi il compito di percepirne -nettamente- la presenza, in quanto qui, tutto è (in) superficie ed è imperativo che rimanga tale.

Perché tutto, secondo le regole del cinema spettacolare (che non contempla introspezione o che, al massimo, abbozza un’idea di scavo psicologico) cui Resident Evil appartiene, deve essere in bella mostra.

Purtroppo, in questo caso la mostra è tutt’altro che bella; trattasi, piuttosto, di visione antispettacolare, nel senso che lo spettacolo si fonda su una massa informe, incoerente, indistinguibile di corpi -per giunta- annegati nell'oscurità, forse fin troppo scura, degli ambienti post-apocalisse virus T.

Fedele adesione all'estetica del videogioco, si obietterebbe senza battere ciglio, ma il cinema non è un videogame, ha un suo linguaggio, codici e tempi che, per quanto rielaborati e reiventati, vanno rispettati.
Perché poi, ed è l’aspetto più irritante dell’operazione, in altre circostanze, lo stesso film inanella con compiaciuto orgoglio, benché si serva ugualmente di un montaggio ipercinetico, sequenze action realizzate pensando al cinema, in modo, cioè, che l’occhio percepisca (e il cervello registri) scientemente ciò che sta guardando

 

 

Ed allora, a tale inflazionata pratica svuotacervello simile ad un devastante elettroshock, perché finisce che niente sedimenta, nulla resta in testa e si può dire addio ai ricordi (belli o brutti che siano) che un’opera cinematografica procura (nolente o volente), è preferibile di gran lunga la tronfia(?) retorica del ralenti, come quella recentemente sperimentata in Hacksaw Ridge (l’ottimo war movie con l’anima firmato Mel Gibson), giusto per fare l’esempio di un film fresco di uscita in sala… almeno, qui, quando il giovane soldato Desmond Doss, armato unicamente della fede in Gesù Cristo, respinge -in modalità 'moviola'- la granata con le mani e poi con un calcio, la scena finisce per marchiarsi a fuoco negli occhi e stamparsi vividamente (forse per sempre, forse no) nella mente di chi sta guardando.

E non è un caso, allora, che tale capitolo finale, magari proprio perché conscio della propria natura labile ed effimera, ricorra al suo momento cult in assoluto (è molto probabile che lo sia), quello che ha impresso le coscienze e che, perciò, salta alla mente prima dei pochi altri momenti memorabili esistenti, rappresentativo dell’opera omnia Resident Evil in celluloide: la riproposta, tra le tante prove che la nostra Alice (una splendida Milla Jovovich) ha affrontato e si appresta ad affrontare, della stanza-corridoio adibita all’innesco dell’altamente letale laser azzurro presente nel primo episodio della saga, scena che, oltretutto, simboleggia la chiusura del cerchio di un’avventura ammazza zombi e non solo durata quasi 20 anni, discontinua sicuramente, ma non completamente e aprioristicamente disprezzabile.

 

https://zippy.gfycat.com/BriefBaggyAfricangroundhornbill.webm

 

 

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