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Basic Instinct

Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film

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La recensione su Basic Instinct

di Utente rimosso (j.d.)
6 stelle

Uno dei maggiori successi al botteghino degli anni '90 è anche un film che rientra a pieno titolo nella categoria dei "sexy thriller": la giusta etichetta per un blockbuster che, per dirla con il Cecil B.Demented di John Waters, pare aver definitivamente "scippato al cinema underground il sesso e la violenza" portandoli nei ranghi del mainstream hollywoodiano. Gli autori Paul Verhoeven e lo sceneggiatore Joe Ezsterhas si sono chiaramente ispirati ad un thriller che lo stesso regista olandese aveva girato in patria, THE FOURTH MAN, e hanno dichiarato di aver voluto omaggiare il cinema di Alfred Hitchcock, mostrando tutto ciò che il maestro della suspence non avrebbe potuto mostrare ai suoi tempi. L'accostamento, suggerito in scene come quelle in cui la bionda protagonista indossa abiti simili a quelli di Kim Novak nel fondamentale VERTIGO, sembra più che altro una trovata per sollevare la qualità di un copione sensazionalistico che, se non fosse per la credibilità degli attori e per la magistralità con cui è stato portato sullo schermo, naufragherebbe in un mare di banalità. 
L'esile spunto di partenza è fotocopiato dallo splendido SEA OF LOVE di Harold Becker, in cui il poliziotto si innamorava di una bionda sospettata di aver ucciso il suo amante, ma si evolve e si sviluppa diversamente, riservando tante sorprese, di cui poche veramente spiazzanti, e privilegiando facili e macchinose soluzioni narrative da romanzetto giallo-rosa tascabile.
L'unica novità è il personaggio della femme fatale Catherine Tramell, superbamente interpretata da una diva straordinaria come Sharon Stone, nel ruolo che la lanciò definitivamente a Hollywood e che fu in precedenza rifiutato da altre sue colleghe. A mio avviso, nessuna avrebbe potuto recitare nei panni di Catherine meglio di lei, esprimendone tutte le contraddizioni attraverso quello sguardo impassibile e furbo, quello charme glaciale e seducente, quell'incedere elegante e sicuro, quella femminilità colta e sensuale. Emblematica, e giustamente famosa, la sequenza nella sala confronti del distretto di polizia, durante la quale la scrittrice, convocata per un interrogatorio, non solo si comporta come se fosse assolutamente innocente ma sfodera un atteggiamento di sfida, non esitando a provocare i suoi interlocutori, tutti maschi, con frecciatine maliziose e compiacenti e ammiccando al detective Nick Curran/Michael Douglas con occhiatine invitanti e allusive.
In un delizioso e provocatorio botta e risposta, la presunta colpevole stuzzica la commissione fumandosi una sigaretta e ad un certo punto accavalla le gambe, svelando a tutti, grazie ad uno "scherzo" di regia quasi subliminale, di non indossare le mutandine. Attira a sè Nick e subito inverte i ruoli di indagatore e ricercata, avvolgendolo nella tela di una bollente relazione che, come se non bastasse, è complicata dall'emergere di una misteriosa simbiosi che aveva legato la scrittrice proprio all'ex amante del detective, la psicologa del distretto Beth Garner/Jeanne Tripplehorn, personaggio che poteva essere sviluppato meglio. 
A metà film, la trama poliziesca si complica all'accumularsi di indizi e dubbi e il triangolo focoso tra i due amanti e Beth, in cui verità e menzogna si alternano continuamente, tiene alta la tensione fino alla fine.
Ma l'insieme, se non fosse per l'alchimia Stone-Douglas-Tripplehorn farebbe molta fatica a lievitare. Fin qui, ecco i difetti di questa perla di raffinata cialtroneria, non priva di tagliente umorismo, suscettibile di stroncature e dissacrazioni fin che si vuole, ma che è anche ricca di pregi puramente cinematografici, come il già citato cast, la fotografia patinata di Jan De Bont, la sublime colonna sonora di Jerry Goldsmith, candidata all'Oscar 1993, la lussereggiante ma altamente coinvolgente mess'in scena di Verhoeven e l'abile sceneggiatura di Ezsterhas. Al di là dei suoi effettivi meriti, rimane un esempio di cinema puro.

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