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Ore disperate

Regia di William Wyler vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su Ore disperate

di FABIO1971
8 stelle

"Perchè continuate a torturare mio marito? Vi divertite, voi, a torturare la gente, vero?"
"Sono attaccato da tutte le parti, stamattina. Casomai, padrona, mi diverto a difendere la pelle."
"No, no, è una specie di gioco per voi, crudele, inumano, vile, vile!"

[Martha Scott e Humphrey Bogart]

La banda di Glenn Griffin (Humphrey Bogart) è evasa di prigione: in attesa che una complice gli consegni il denaro necessario per proseguire indisturbati la loro fuga, i tre malviventi (della banda fanno parte anche Hal, fratello di Glenn, e il rude Sam Kobish) si rifugiano nell'abitazione di Dan Hilliard (Fredric March), dove vivono anche sua moglie Ellie (Martha Scott) e i figli Cindy (Mary Murphy) e Ralphie (Richard Eyer). La convivenza forzata tra i criminali e l'incolpevole famigliola si trasformerà, però, in un logorante gioco al massacro. Scritto dallo stesso Joseph Hayes che firmò l'omonimo romanzo originario e ne adattò la versione teatrale (che annoverava Karl Malden e un giovanissimo Paul Newman nel ruolo di Bogart), Ore disperate è un thriller claustrofobico e angosciante, teso fino allo spasimo, incalzante e senza attimi di tregua, conciliatorio solo nella virata stucchevole del finale. Wyler, reduce dal successo di Vacanze romane, padroneggia tempo e spazi della narrazione affidandosi al rigore della messinscena, ammantata dagli splendidi chiaroscuri della fotografia di Lee Garmes (è, tra l'altro, il primo film in bianco e nero realizzato in Vistavision), e allo straripante stato di grazia degli interpreti, con un Bogart al suo penultimo film prima di venire stroncato nel suo letto di casa dal cancro alla gola (seguirà solo Il colosso di argilla di Robson) e con uno straordinario Fredric March a contendergli la scena. Pathos e tensione montano inesorabilmente sequenza dopo sequenza, immersi in atmosfere via via sempre più opprimenti e sorretti da un plot talmente perfetto nei suoi meccanismi che chi, in seguito, vorrà riavvicinarvisi, non potrà far altro che riaggiornarlo (Cimino) o, al massimo, trasfigurarne le pulsioni più devastanti nel gioco metafilmico (l'Haneke di Funny Games). Strepitoso il lavoro in fase di montaggio dello specialista Robert Swink (promettente giocatore di football folgorato sulla via di Hollywood) e il contributo delle scenografie curate da J. McMillan Johnson (uno dei numerosi nomi nelle liste nere del maccartismo) e Hal Pereira, entrambi reduci dalla collaborazione con Hitchcock per Caccia al ladro.

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