La recensione su Tempête

di EightAndHalf

3 stelle

Si fa fatica a scrivere del film di Samuel Collardey, Tempête, perché è di un’insignificanza disarmante. Trattasi di “semi-fiction”, se vogliamo, con uno script riscritto sulla base della vera esistenza di Dom, un pescatore francese che si ritrova a convivere con i due figli adolescenti avuti con l’ex-compagna. Collardey dichiara che “Tempête è la storia di un uomo combattuto fra i doveri paterni e la necessità di non rinunciare a quel che è”, ma dei drammi umani non vediamo nemmeno l’ombra. Forse convinto che basti il presupposto della “semi-fiction” per affascinare lo spettatore, in termini di regia Collardey fa il minimo indispensabile per raccontare le varie situazioni in cui i protagonisti si ritrovano, anzi si potrebbe dire che esteticamente Tempête è decisamente nullo, alla fine quasi patinato, che è il peggio del peggio.

Tramite una narrazione che si trascina attraverso ellissi non troppo intuitive e dialoghi spesso ripetitivi, il film di Collardey annuncia sempre la tempesta che poi arriva sotto forma di lacrime amarissime dovute alle drammatiche delusioni che devono affrontare i figli, che si “auto-privano” della figura paterna: la figlia maggiore, rimasta incinta a sedici anni, se ne va dal padre perché lui assente e in mare durante il parto; il figlio abbandona più gradualmente Dom perché sempre più attratto dall’idea di evitare le sue fisime e le sue piccole ossessioni quotidiane, quelle che comunque qualsiasi genitore ha. E mentre aumenta sotterraneo il pietismo nei confronti di un padre incompreso, la pellicola cerca di intraprendere la strada del film “umile e semplice”, e quindi quasi “puro di cuore”. Leggasi pure “ingenuamente paraculo”. Con un finale che è il trionfo del ricatto emotivo, con tanto di gabbiani che volano sul mare con lo sfondo romantico dell’orizzonte [sic!].