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Pecore in erba

Regia di Alberto Caviglia vedi scheda film

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La recensione su Pecore in erba

di alan smithee
5 stelle

72° FESTIVAL DI VENEZIA – FUORI CONCORSO

"Un bel gioco dura poco", bisognerebbe tenerlo da mente.

Risate tutt’altro che senza pensieri in Laguna, grazie al mockumentary d’esordio di Alberto Caviglia che, satira a tratti pungente, a tratti un pò pedante, ci monta lo scoop inerente la scomparsa di un sedicente personaggio pubblico destinato a far parlare sempre di sé, nel bene (quale?) come nel male: un assurdo (ma neanche poi troppo) trascinatore di folle i cui traumi infantili contribuiscono a forgiarne il carattere e le caratteristiche (inquietanti, tranne quando si scherza) di personaggio destinato a fare notizia, ad alimentare polemiche, a creare tendenze, a lasciare sempre traccia del proprio passaggio: insomma un tipo qualunque, apparentemente timido ed introverso, che non riesce a non far parlare di sé a causa delle sue fobie, dell’innata tendenza a trovare la ragione di tutte le sciagure umane nella presenza sul mondo della razza e civiltà ebraica.

L’ironia della situazione, quella che fa partire la vicenda del film, è che di tal Carlo Zuliani, si parla anche e soprattutto dal momento della sua misteriosa scomparsa.

Tramite il solito sensazionalistico, tendenzioso scoop giornalistico, seguiamo, attraverso il film, una intera trasmissione televisiva dedicata al personaggio.

Persone, alcune anche illustri, altre quantomeno famose, accomunate dal fatto che hanno avuto occasione di conoscerlo, si confrontano, testimoniano, dicono la loro sul personaggio, cercando di far capire al pubblico come si è forgiato il carattere del ragazzo, cosa lo ha spinto a fare tutto quello che ha fatto, perché la sua vita, apparentemente qualunque, è invece sempre risultata appartenere al tutti e alla cronaca in particolare.

Il sarcasmo complice e brillante con cui è condotta l’operazione, la scelta di poggiare tutto su un personaggio inespressivo che solo per il fatto di respirare riesce a fare notizia o a far parlare di sè, è senz’altro funzionale a riflettere su molti aspetti contrastanti e controversi che permettono oggi a certe persone di fare comunque, nel bene e nel male, notizia.

Scegliere gli ebrei, la loro cultura e civiltà, come mirino e centro dell’attenzione della vita di un disadattato che trova in loro la ragione di tutte le sventure e tragedie mondiali, è ovviamente evocativo di tragedie e persecuzioni immani che tuttavia hanno accomunato molte altre razze o etnie, pur a volte senza poterne avere medesimo sacrosanto risalto.

E tra attori anche notissimi che si divertono a partecipare simpaticamente al progetto, esponenti della cultura, professionisti, personaggi televisivi che accettano di reinterpretarsi (con un certo spiccato e disarmante grado di autoironia, dobbiamo ammetterlo), il film si sviluppa come un’intera puntata di una inchiesta da tg, frammezzata da altre piccole divertenti follie come il racconto della vicenda attraverso spezzoni di pseudo film che ne è stato ricavato (e che ha vinto fior di Oscar nel 2006…eheheh), attraverso testimonianze di psicologi e medici che hanno avuto in cura il personaggio, la famiglia - con i suoi ricordi strappalacrime davvero esilaranti – tra cui membri spicca un nonno dal ghigno folle e quasi sempre fuori luogo, reso con esaltante ironia dal grande Omero Antonutti.

Certo, superati i 45 minuti di pellicola, verrebbe da pensare quanto suggerito sopra, ovvero che “un bel gioco dura poco”, ma Pecore in erba (titolo assurdo che trae spunto dall’esilarante invenzione – una delle tante – del diabolico Zuliani che predispone striscioni da stadio con titoli inoffensivi, per poi scoprire che gli stessi si possono scomporre grazie al velcro che unisce le lettere, e che dai titoli apparentemente inoffensivi esibiti in tribuna, si riesce ad anagrammare frasi offensive ed epiteti pesanti contro il solito popolo errabondo e scacciato), nel suo complesso risulta comunque abbastanza gradevole e inquietantemente divertente.

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