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L'uomo che vide l'infinito

Regia di Matt Brown vedi scheda film

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La recensione su L'uomo che vide l'infinito

di maurizio73
4 stelle

Condensato di epica egualiataria d'inizio secolo, agiografia melodrammatica di un genio sfortunato e misticismo cabalistico a buon mercato: biopic più che convenzionale quale sottogenere molto in voga nel cinema anglosassone del terzo millennio: tra tuttologi tetraplegici, 'criptologi' col vizietto e schizoidi fissati con la teoria dei giochi.

La passione quasi mistica per la matematica, porta un poverissimo ed umile bramino tamil di Madrassa ad intrattenere una corrispondenza epistolare con insigni cattedratici del Trinity College di Cambridge. Solo uno di questi però sembra prenderlo sul serio, facendolo giungere in Inghilterra grazie ad una borsa di studio, incoraggiandolo nel suo percorso universitario e contrastando il diffuso ostracismo dei colleghi che si oppongono all'ammissione del genio indiano in seno al corpo docenti, non ostante i suoi indiscutibili meriti scientifici. 

 

locandina

L'uomo che vide l'infinito (2015): locandina

 

Condensato di una vaga epica egualiataria d'inizio secolo, agiografia melodrammatica di un genio sfortunato e misticismo cabalistico a buon mercato, questo biopic simil bolllywoodiano è in realtà l'esemplare più che convenzionale di un sottogenere molto in voga nel cinema anglosassone del terzo millennio, fatto di geni tuttologi tetraplegici, esperti di criptologia dalle sospette inclinazioni sessuali e schizofrenici paranoidi redenti sulla via della medaglia Fields o della regia accademia degli ex dinamitardi svedesi. Come dire la strada della scoperta (o dell'invenzione) scientifica è lastricata dalle ingiustizie sociali, dalle sfighe personali e dagli imperscrutabili segni di un fato avverso che rendono l'intrapesa umana e intellettuale adatta ad un prodotto di cassetta e destinato perfino a quella larga parte di pubblico cui parole come trigonometria e calcolo combinatorio possono produrre severi attacchi di orticaria. Niente paura, per costoro è bella e pronta la faccia virile e abbronzata di un Dev Patel madrelingua inglese, che sugge il nettare della sapienza numerologica dalle sensuali labbra dea Namagiri e che piomba nelle confortevoli dimore del Trinity College giusto in tempo per incassare ostracismo accademico, molestie xenofobe e supposte esplosive di Zeppelin crucchi. Bandito qualsiasi realismo psicologico o riflessione storica sul valore talora fortuito della scoperta scientifica, il film di Matt Brown fa la spola tra le dura lotta dello studente fuori sede ospite indesiderato degli odiati colonizzatori e le paturnie sentimentali di una mogliettina giovane e carina abbandonata tutta sola alle ripicche di una imperversante e arcigna mammà; l'invadente presenza di un insopportabile commento musicale ed un ritmo narrativo che stempera l'epica del racconto nella banalità di una storia dove eventi e personaggi rimangono perennemente sullo sfondo, finisce per togliere modente persino all'interpretazione compassata di un sempre composto Jeremy Irons; prototipo fatto e finito del matematico d'Albione, che alterna alla manifesta passione per il rigore del calcolo, le inconfessabili pulsioni che portavano in quegli anni il suo esimio collega A. E. Housman in eccitanti e perigliosi tour sessuali in giro per l'Europa. Non bastassero i modesti contenuti artistici, questo polpettone mainstream avanza l'idea furovinate che i processi cognitivi alla base del genio sinestetico di un bramino male in arnese possano affondare le loro radici in un sostrato di credenze e superstizioni da cui si pensa provengano le cose che non si capiscono; insomma dall'officiante indiano delle partizioni fatte in casa alla cattedra lucasiana di matematica dove storicamente sedeva un rappresentante del clero (come il suo fondatore) il passo è breve: un'aura romantica che sembra ammantare di misticismo un rapporto 'intimo e confidenziale con i singoli numeri naturali' o le più immediate soluzioni di argomento reale della funzione Z di Riemann.
Fra i produttori pure due matematici indiani. Presentato al Toronto International Film Festival 2015 ed al Tribeca Film Festival.


"La più grande scoperta di Hardy? E' stato Ramanujan"  - Bertrand Russell (Berty per gli amici)

 

 

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