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Per amor vostro

Regia di Giuseppe M. Gaudino vedi scheda film

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La recensione su Per amor vostro

di Lehava
5 stelle

Te lo insegnano fin da bambina: e non riguarda né la religione, né l'estrazione sociale, neppure il grado di istruzione. Cresci così: e te ne convinci sempre più. "E' tuo dovere". Più di tutto: "è tuo dovere di figlia e donna, madre, moglie". Questo è Anna: suo dovere occuparsi degli anziani genitori, suo dovere accudirli e sopportarli; suo dovere lavare stirare cucinare; suo dovere trovarsi un impiego che aumenti le entrate familiari; suo dovere essere sempre sorridende per i ragazzi e ascoltarli ed accontentarli; suo dovere tenersi il marito irascibile e frustrato; suo dovere perfino chiudere gli occhi sull'illegalità; suo dovere farsi carico degli errori altrui; suo dovere restare zitta. Come una intima via crucis in bianco e nero, la sceneggiatura svela le tappe della costruzione di questo personaggio che piccoli, grandi dolori hanno reso con il tempo impermeabile e flessuoso. Adattabile a qualsiasi situazione o occasione: solo il caso a decretarne felicità o infelicità. Emblematica per crudeltà domestica e intimo convincimento la scena in cui Anna, sfuggita alla disperazione degli sfrattati e alle maldicenze (per altro verissime) dei vicini, si rifugia in cucina, sordomuta più di Arturo, ad adempiere ai propri doveri (ancora il dovere!) di moglie, madre, massaia provetta, tagliuzzando melanzane, cuocendo e frullando, allestendo il desco con pietanze e stoviglie in bell'ordine. Tutta soddisfatta, alfine, di assomigliare all'immagine migliore che vuole dare di sé a sé. In attesa della approvazione altrui: andandola a cercare sul pianerottolo ,inseguendo fin dentro l'ascensore figli ritardatari e marito impenitente. "Per amor vostro" è un film raro nel panorama cinematografico italiano contemporaneo: finalmente un personaggio femminile a tutto tondo. Che Valeria Golino interpreta alla perfezione: poche parole con voce incerta e commistione irregolare tra dialetto, italiano, ed accenti molteplici; fisico appesantito ad uopo e volto bellissimo. Perché Anna non è una popolana disperata e scapigliata, una brutta ma simpatica, una vittima innocente: è piuttosto una donna tra le cui sfumature tutte noi ci possiamo ritrovare. Triste e sorridente, devota per costrizione (ai genitori come al culto dei morti che bacia solo perché incapace di dire di no) graziosa ma troppo stanca, rispettabile e composta nell'aspetto e nel vestiario, colpevolmente cieca e silente con un consorte dagli introiti misteriosi, ha imparato a difendersi con le stesse armi che contro di lei sono utilizzate: distacco e persino violenza. Nulla è essenza, e tutto è apparenza: Anna specchio di ciò che le sta attorno. Di ciò che le sta dentro: e che le ordina di fare ciò che gli altri si aspettino lei faccia. Lei si costruisce il suo mondo. Lei si costruisce la sua narrazione di quel mondo. I primi 65-70 minuti circa, pur non senza difetti, convincono. L' empatia fra la protagonista e l'ambiente è totale: come se Anna fosse Napoli: partenope contraddittoria, sempre sul confine. E Napoli si scoprisse solo attraverso i suoi occhi cerulei, svagati eppure attenti: acqua ovunque in una città grigia e atona (l'antitesi del "Chist'è 'o paese d' 'o sole, chist'è 'o paese d' 'o mare, chist'è 'o paese addó tutt' 'e pparole, só doce o só amare, só sempe parole d'ammore! ") fatta semmai giusto di sotterranei dell'anima. E' nella parte finale, che dovrebbe essere risolutiva e rivelatrice, che qualcosa si inceppa: la carica emozionale ed emotiva che così bene aveva retto nei presupposti, si scioglie in un eccesso di manierismo soprattutto a causa di scelte registiche sovrabbondanti: eccessivo uso di effetti digitali e colorazioni cartonesche che appesantiscono ed allungano la narrazione (le nuvole, il mare scuro etc), alcune scelte anche di inquadrature superflue (orrenda quella della Golino di spalle che si affaccia dal terrazzo sui propri incubi) sfilacciamento della sceneggiatura e persino nel montaggio (il legame tra la scena della aggressione nel campo e Anna che si ritrova nel letto, si sveglia, ascolta le notizie al giornale) cadute di stile nei dialoghi (quello finale con la figlia Santina fra le lenzuola stese). A metà fra dramma e melodramma, Gaudino strizza l'occhio a tutto il bagaglio culturale napoletano mettendolo come sottotesto a volte di non facile lettura e non sempre azzeccatissimo: da Eduardo De Filippo a Rossellini e Garrone, dalla sceneggiata al neomelodico, dal culto dei morti all'industria televisiva locale. C'è forse, sul serio, troppo: le vessazioni infantili, il marito che si scopre usuraio, il tentato omocidio, l'alleanza colpevole, l'handicap e la superficialità dei giovani, la voce fuori campo narrante e cantante, il sogno di riscatto nell'amore (odio i primi piani. Eppure, nel gioco strettissimo di camera al limite dell'irritante, fra Migliaccio e Anna, fra i loro sguardi e pochi gesti, sul sedile posteriore della macchina, uso sapiente della luce, ho trovato in pochissimi istanti tutta la costruzione di una storia d'amore. Solo questo vale molto più di quanto visto in giro ultimamente). Alla fine ci si ritrova frastornati e la conclusione risulta, gioco-forza, frettolosa. Non poteva essere altrimenti: come se riannodare i fili risultasse quasi impossibile (per esempio, Ciro viene lasciato in sospeso. Per esempio Cinzia ed Arturo rimangono inespressi). Mi chiedo però se sia sul serio un male: in fondo, nella vita, spesso questo accade: che non ci si capaciti di come le cose sia "avvenute". Eppure lo sono. Che non si trovino senso e comprensione. Che vittime e carnefici si intersichino e si commistionino. O solo, che si interpretino.

 

Malgrado i difetti dunque, malgrado alcune scelte che non condivido né nell'estetica né nella significato (le musiche, per esempio: petulanti) "Per amor vostro" resta un film importante e che va guardato, sostenuto, ricordato. Gaudino voce originale e ben fuori dal coro: da rivedere certi aspetti tecnici, ma grande direzione di attori (ok Cantalupo, Gallo e Giannini: ma sono pur sempre professionisti. Si guardi invece alla direzione dei tre adolescenti: credibili e sfaccettati pur senza, quasi, battute o inquadrature a disposizione) e talento nella traduzione delle parole (sceneggiatura discontinua ma apprezzabile. Forse si poteva far meglio in qualche dialogo) in immagini. Valeria Golino una conferma di eccellenza: non è questione solo di "bravura". Lei sul serio è forse l'unica diva vera e seria che abbiamo in Italia. E Venezia fa benissimo a sostenerla.

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