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Per amor vostro

Regia di Giuseppe M. Gaudino vedi scheda film

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La recensione su Per amor vostro

di Peppe Comune
8 stelle

Anna Ruotolo (Valeria Golino) è una donna molto dedita agli altri. Conduce una vita grigia perché ha smesso di guardarsi intorno e scorgere i veri colori del mondo. E’ sposata con Luigi Scaglione (Massimiliano Gallo), un “cassiere” della malavita locale che guadagna soldi praticando l’usura. Un tempo coltivava il sogno di diventare un cantante di successo, oggi è un despota da cui Anna vorrebbe separarsi per sempre. Ha tre figli Anna, Santina (Elisabetta Mirra), Cinzia (Daria D’Isanto) e Arturo (Edoardo Crò). Quando sono soli in casa, madre e figli si divertono a inscenare le canzoni recitate del Quartetto Cetra, le mimano ripetendo tutti le mosse di Arturo che è sordo muto dalla nascita. L’unica cosa veramente positiva per Anna sembra essere il lavoro ottenuto come suggeritrice dei dialoghi negli studi Rai di Napoli. Al momento è impegnata sul set di una nota fiction televisiva che ha come protagonista il vanesio Michele Migliaccio (Adriano Giannini), un attore che la riempie di attenzioni interessate e al cui fascino Anna non sembra voler sfuggire.

 

Valeria Golino

Per amor vostro (2015): Valeria Golino

 

 

“Per amor vostro” di Giuseppe M. Gaudino è un film incentrato tutto su un ritratto al femminile bello e convincente, quello di Anna, una donna altruista e coraggiosa che affronta la vita con sopraggiunto disincanto ma senza piangersi troppo addosso. Retto dall’ottima interpretazione di Valeria Golino (che non mi piace sempre, qui premiata a Venezia con la coppa Volpi come miglio interpretazione femminile) e da un bianco e nero virato in un grigio plumbeo, il film ce la presenta come un qualcosa di concreto, come un plausibile ritratto di donna moderna, perfettamente calata nel proprio tempo e nel proprio territorio, ma non lesina di ricorrere a forme simboliche di narrazione per accrescere di senso la sua complessa condizione esistenziale.

Come già è capitato nel bellissimo “Giro di lune tra terra e mare”, Giuseppe M. Gaudino si conferma un autore bravo ad aderire alla realtà del territorio che porta su schermo facendone emergere il carattere “mitico” che nel corso dei secoli ne ha delimitato i contorni culturali. Se nel film indicato era il fenomeno del bradisismo che costringeva una famiglia di pescatori a dover combinare sempre casa, sullo sfondo di un territorio (quello dei Campi Flegrei) che è come se perpetuasse nei secoli la sua propensione e rendere tragica l’esistenza dei suoi abitanti, in questo film sono le stimmate della colpa che conducono Anna ad accettare il suo destino con fatalistica rassegnazione. Per un cinema dall’evidente taglio antropologico che sa esprimersi attraverso collaudati sperimentazioni visive (colori sgranati, voci off fuori sincrono, stacchi atemporali, uso dialogico del suono), sospeso tra verismo e onirismo, delineazione (anche) etnografica della realtà ed evocazione del magico, descrizione verosimile di attendibili spaccati di vita e senso “antico” del tragico che emerge direttamente dalla storia millenaria del territorio in cui tutto si svolge. Napoli fa da sfondo discreto alla storia di Anna, che l’attraversa quasi sempre distratta e quasi sempre di corsa, muovendosi in essa come per tappe successive che somigliano molto da vicino a dei gironi danteschi. Gaudino si diverte a trasfigurarla di proposito, a cambiargli i connotati cromatici e morfologici, a estromettergli ogni orpello da “cartolina”. In modo da renderla di una bellezza più amara e sfuggente. Usa in un modo del tutto particolare gli effetti speciali, facendoli essere, non un’entità ben delineata nei suoi aspetti formali che vuole nascostamente accompagnarsi allo sviluppo stilistico della narrazione filmica, ma come un qualcosa che intende aggiungevi un senso particolare attraverso la sua marcata presenza, il suo essere non dentro la scena ma sopra di essa. Uguale all’espediente usato per permettere alla piccola Anna di volare come un angelo da campanile della chiesa, un trucco che vuole meravigliare il pubblico senza preoccuparsi di non rimanere chiaramente esibito (proponendosi perciò come una perfetta metafora del Cinema). La regia dell’autore napoletano si allinea allo sguardo di Anna, al suo modo “tempestoso” di vedere le cose, alla maniera distorta in cui il suo stato emotivo la induce a convivere col suo inferno terreno. Le nubi che spesso si addensano all’orizzonte rappresentano tutto il male che Anna ha subito ed assistito da che è nata, un male che oscura ogni attimo di colore che gli si profila all’orizzonte. Gli restano i ricordi a essere tinti di svariate sfumature di colori, e i momenti spensierati passati con i figli nella quiete domestica, che gli regalano la lieta sensazione che quello per i figli non sia un amore passato invano.

Anna è totalmente presa dai suoi disastri sentimentali, si dedica così totalmente a quelli che gli girano intorno, che il resto del mondo gli sembra esistere solo come una sorta di appendice superflua che carica ancora di più dolore la sua esistenza. Così come i suoi abitanti che gli appaiono come tanti fantasmi ambulanti privati di ogni slancio emotivo, capaci solo di salmodiare litanie che sembrano provenire da un altro tempo. È in mezzo a loro che Anna assapora per intero un indistinto senso di morte, la sensazione di trovarsi in una specie di limbo purgatoriale dove non è dato ancora sapere dove penderà la sua sorte : tra le viscere della terra ad elemosinare un po’ di riposo, o immersa nell’acqua come all’inizio della vita (come suggeriscono alcune sequenze a riguardo) ? Una sensazione che basta da sola a renderla come un’aliena in mezzo al mondo che la circonda, a donargli quella serenità d’animo che sopravvive al disamore che pure gli si è insinuato dentro. Come chi è sospeso tra il far esplodere definitivamente tutta la sua rabbia e il continuare a dedicarsi a chi si trova in una posizione più debole della sua.

Anna è un personaggio posto al limite estremo della sua condizione esistenziale, quando giungono al loro epilogo necessario tutti gli aspetti rilevanti di una commedia umana scritta apposta intorno alla sua persona. Ma Anna resiste alla sua stessa tragedia, non ha tempo di soccombere ai suoi demoni interiori. A spingerla è un’indomita volontà di tirare avanti nonostante tutto, un attaccamento alla vita che non soccombe al malaffare. Di amore vero gli è rimasto solo quello da dedicare ai figli, tutto il resto è stato sacrificato sull’altare di un familismo bulimico da cui ha ricevuto ben poco in cambio. Bello e a tratti commovente è proprio il rapporto che Anna ha con i figli, incentrato soprattutto intorno alla figura di Arturo, questo figlio sordo muto che ha solo gli occhi per esprimere tutta la sua voglia di riempire di colore e calore tutta la vita dell’intera famiglia. La complicità domestica che hanno costruito in assenza del padre dispotico, li pone come un qualcosa a parte rispetto al mondo che è fuori l’uscio di casa, un’alcova felice riempita da sonorità vintage. Si divertono a inscenare le canzoni recitate del Quartetto Cetra (su tutte, "Juanita Banana" e "Perè mi vuole bene", sinistramente in linea col senso della storia ), come i vecchi caroselli televisivi di una volta, quando il bianco e nero era innocuo e foriero di momenti di spensierata evasione. Non come il grigiore che avvolge le loro esistenze. Ottimo film, dalla schiera del miglior Cinema “nascosto” del nostro paese.    

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