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The Bad Batch

Regia di Ana Lily Amirpour vedi scheda film

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La recensione su The Bad Batch

di Spaggy
8 stelle

In un futuro non meglio precisato gli Stati Uniti hanno eretto una recinzione divisoria che separa coloro che si adeguano alle regole della società civile da coloro che invece in qualche maniera le infrangono. Dietro la recinzione, che separa la civiltà da un vasto deserto, vanno tutti coloro che vengono etichettati come “lotti difettosi”: criminali, poveri, malati di mente e insani, si ritrovano così a dover condividere una vasta zona da colonizzare. Il processo di civilizzazione difettosa in corso ha portato alla formazione di due diverse colonie avamposto: da un lato, vi è The Bridge, il Ponte, un posto in cui nessun essere umano vorrebbe finire per non diventare il pasto principale di una comunità di cannibali di cui è leader Miami Man, un immigrato cubano; dall’altro lato, invece, vi è Comfort, una comunità che seguendo il modello americano ha provveduto a ricreare gli stessi schemi sociopolitici e ha nella figura del “Sogno” il suo mentore e “presidente”. Appena etichettata come “lotto difettoso”, la giovane Arlen si imbatte a sue spese nei cannibali, che dopo essersi nutriti con una sua gamba e un suo braccio diventeranno i nemici di cui è desiderosa di vendicarsi. Fuggita via in maniera fortuita dal Bridge, Arlen viene salvata da un eremita e condotta fino a Comfort, dove cinque mesi dopo ha ripreso una regolare esistenza grazie a una protesi alla gamba. Con il rammarico di aver perso per sempre un braccio, non dimentica il suo proposito di vendetta e una passeggiata nel deserto le viene incontro, portandola sui passi della compagna e della figlia di Miami Man. Uccisa la donna, Arlen porta con sé la bambina scatenando le ricerche del padre, che abbandonando il Bridge si dirige verso Comfort per riprendere ciò che è suo.

Jason Momoa, Suki Waterhouse

The Bad Batch (2016): Jason Momoa, Suki Waterhouse

Costruendo quello che la stessa regista definisce uno spaghetti western moderno, che richiama Leone ma che strizza l’occhio a Lynch e a Korine, Ana Lily Armipour con The Bad Batch va oltre la sopravvalutata visionarietà del lungometraggio d’esordio e propone una feroce critica alla società moderna.  Con immagini che sfiorano talvolta lo splatter gratuito e confondono con la loro estetica ora patinata ora sporca, la Armipour nel suo delineare il mondo del futuro non dimentica le sue origini e prende di mira sia la società occidentale sia quella orientale. In un mondo già diviso tra Ovest e Est della recinzione, mette in scena un processo di colonizzazione che porta a un’ulteriore suddivisione di popoli in “primitivi” e “socializzati”, senza però definire quale delle due categorie sia migliore dell’altra. Se i primitivi hanno fatto della caccia (che sia agli umani è un dato di fatto, dal momento che il deserto offre solo uccellacci da predare), dell’istinto di sopravvivenza e del baratto, la loro quotidianità gestita da un capo nerboruto, i socializzati sono ricorsi a una forma sociale più evoluta basata sul denaro, sulla religione, sulla droga e sulla “coltivazione” di un sogno o di un seme. Si sono affidati a uno pseudo leader che ricorre al subliminale per tenere in suo pugno i suoi adepti. Muscoli e violenza fisica caratterizzano Miami Man, interpretato da Jason Momoa, mentre retorica e utopia distinguono The Dream, portato in scena da Keanu Reeves nell’aspetto simile a quello di un Pablo Escobar qualunque (abiti e pettinatura rimandano alla mane la caratterizzazione del famigerato narcotrafficante) e nel comportamento vicino a quello di un leader di una setta religiosa, che offre ai suoi proseliti “messe” danzanti e ostie “lisergiche” con l’obiettivo di piantare il “seme del Sogno” allegoricamente e fisicamente, dimentico di come quel modello abbia già fallito e portato alla concezione del lotto difettoso. Oriente e Occidente, si diceva prima. Ma anche scinniti e sunniti, popolazioni di origine islamica separati dal credo e da questo posti in conflittuale rivalità. A unire i due mondi, le due differenti concezioni di vita che presentano entrambe pregi e difetti sarà Arlen (una notevole Suki Waterhouse, una sorta di Uma Thurman ante litteram), in grado di dare vita con un piccolo esodo a una nuova stirpe collaborativa, un nuovo micropopolo capace di mettere da parte le divergenze e di pianificare una nuova costituzione basata sugli elementi cardine di una sana civilizzazione e rieducazione.

Volutamente sopra le righe in diversi frangenti, con sequenze oniriche al rallenti e situazioni volutamente grottesche, The Bad Batch disturba perché offre uno spaccato di mondo che spesso ci rifiutiamo di vedere. Non a caso riserva un ruolo importante a due figure apparentemente in secondo piano, quella dell’Eremita e quella dell’Urlatore. Interpretati rispettivamente da un irriconoscibile Jim Carrey e da uno stralunatissimo Giovanni Ribisi, l’Eremita e l’Urlatore sono due reietti tra i reietti ma detengono a loro modo la verità assoluta delle cose, rivelandosi fondamentali per la comunicazione tra le due differenti realtà e per la comprensione di una Verità (di una “cosa”, per dirla con le parole dell’Urlatore folle) che altrimenti rimarrebbe sempre annegata dalle parole.

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