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Il disprezzo

Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film

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La recensione su Il disprezzo

di Kurtisonic
8 stelle

Una definizione amata da Godard, cioè che “il realismo non consiste in come sono le cose vere, ma in come sono veramente le cose” sembra calzare a pennello per mettere a fuoco la struttura del film, che tre anni dopo il fulminante e rivoluzionario esordio di Fino all’ultimo respiro, si dichiara apparentemente come un manifesto della disillusione e delle increspature che il nuovo cinema di quegli anni reinventato dai registi della nouvelle vague si presenteranno inevitabilmente davanti a loro. Il disprezzo si fa forte della mancanza di sceneggiatura, dell’improvvisazione dei suoi interpreti, della sua frammentarietà, del suo carico struggente e amaro  che il tema musicale di fondo suggerisce ad ogni inquadratura, della precisa sensazione che quello che lo spettatore sta vedendo sia solo la parte di una realtà che continua a fluire sotto forma di immagini dentro e fuori dallo schermo. Il disprezzo parla di cinema, ambientato a Roma dove un regista, il vero Fritz Lang deve modernizzare  nientemeno che l’Odissea su richiesta del grezzo produttore americano Jerry Prokosch (J.Palance) con l’aiuto determinante dello sceneggiatore Paul Javal(M.Piccoli) accompagnato dalla bella moglie Camille (Brigitte Bardot). Mentre le figure del regista e del produttore sono semplicemente contrapposte secondo intuibili standard ideali e di ruolo, il vero dilemma si gioca fra la tentazione di Paul di accettare la proposta di lavoro offerta dal ricco americano a qualsiasi prezzo, compreso il diritto di mercanteggiare le grazie di Camille. I personaggi, ma in questo caso si può benissimo parlare solo di interpreti, poiché se dalla prima sequenza il gioco di finzione è svelato con le cineprese che scorrono sui binari affiancando un dialogo fra Camille e Paul, si specchiano l’uno nell’altro, evidenziando caratteristiche e negatività che si adattano bene a quel disfacimento morale e funzionale  che Godard intuisce con il compromesso, l’adeguamento dei mezzi e delle idee, l’asservimento al successo, che farà inceppare a suo modo di vedere l’evoluzione rivoluzionaria del cinema. L’intuizione di mischiare lingue differenti mediate solo in parte dalla segretaria del produttore, Francesca (Giorgia Moll), creano un circuito emotivo che permette ad ogni protagonista di ritagliarsi uno spazio personale nel quale si rispecchia la propria scala di valori. Il sentimento del disprezzo attraversa tutti i protagonisti nel confronto con gli altri per motivi più diversi, anche se predomina il rapporto sentimentale fra Camille (una BB al massimo splendore) che incarna  la purezza inconsapevole dell’arte e dunque del cinema e della sua crisi, e Paul diviso fra il suo sentimento amoroso e il redditizio amore verso se stesso. La vicenda reale è connessa alla struttura dell’Odissea su cui i protagonisti devono lavorare, il viaggio, l’abbandono, il ritorno, il dominio, la tragedia e il possesso sono i temi in gioco e come detto contribuiscono ad accumularsi in una formula che qualche critico ha definito come film saggio. Paradossalmente la ricerca di forme nuove di espressione nel film si trasformano in un recupero dei valori presupposti del cinema classico, rappresentati da Lang che spiega che “..un film deve sempre dichiarare un punto di vista..” e questi contenuti verranno messi in scena in un contesto di finzione vera e propria con il successivo Alphaville del 1965, fino ad arrivare poi al progressivo logoramento e alla rottura del regista con Truffaut e la nouvelle vague negli anni 70. Come ampiamente segnalato da altri, la versione de Il disprezzo (Le mepris) degna di nota è solo l’originale sottotitolata di 105 minuti, mentre la copia italiana doppiata, tagliata di venti minuti, senza le scene di nudo della BB, con colonna sonora diversa ha prodotto un risultato osceno e incomprensibile da parte “dell’illuminato” coproduttore C.Ponti, che determinò il disconoscimento dell’opera da parte di Godard stesso.  

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