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Zucchero, miele e peperoncino

Regia di Sergio Martino vedi scheda film

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La recensione su Zucchero, miele e peperoncino

di Dik
5 stelle

In un'aula di tribunale, un giudice (Gianfranco Barra) è chiamato ad esprimersi su tre vicende tragicomiche.

 

Primo caso. Con Lino Banfi (Pasquale Zagaria), Edwige Fenech, Enzo Robutti.
Per una serie di sfortunate coincidenze, un tranquillo assicuratore viene scambiato per un pericolosissimo killer evaso dal carcere. Una situazione di facile risoluzione, se non fosse per una bella ed ambiziosa giornalista in cerca di uno scoop.

Secondo caso. Con Pippo Franco (Francesco Pippo), Dagmar Lassander (Dagmar Regine Hader), Glauco Onorato.
Un laureato, sfrattato dalla propria casa ed in completa indigenza, accetta un ruolo da comparsa, in abiti femminili, per una produzione cinematografica. Fallita questa opportunità, facendosi passare per una donna, riesce ad essere assunto come governante nella casa di un ricco macellaio, grezzo e manesco nei confronti della moglie. La farsa, ovviamente, non potrà durare in eterno.

Terzo caso. Con Renato Pozzetto, Patrizia Garganese, Sal (Salvatore) Borgese.
Un tassista corona il suo sogno di mettersi in proprio ed acquistare un taxi nuovo, a cui riserva costantemente una cura maniacale. Tutto inutile quando, suo malgrado, si ritroverà in mezzo ad una faida matrimoniale tra due famiglie siciliane.

Abili conoscitori dei meccanismi della commedia sexy, i fratelli Martino, Luciano (produttore) e Sergio (regista), viaggiano sul velluto con una pellicola facile facile.
Il palazzo di giustizia è un modo semplice ed efficace per imbastire un film ad episodi fin dai tempi di "Un giorno in pretura" (1953) di Steno (Stefano Vanzina), così come scrittori e sceneggiatori di indiscussa esperienza ed affidabilità, sono Castellano (Franco Castellano) e Pipolo (Giuseppe Moccia). Poca volgarità, ancor meno nudi femminili (così il genere si "ripuliva", negli ultimi anni, prima di scomparire), tre protagonisti maschili all'apice del successo (Banfi, Franco e Pozzetto), l'onnipresente Fenech... ed il gioco è fatto: tre storie godibili ed il pieno al botteghino è assicurato.

Il primo episodio è il migliore ed anche il più divertente, merito di una sceneggiatura semplice ma efficace e, soprattutto, degli interpreti; uno scatenato Banfi, una frizzante Fenech ed un esilarante Robutti (nella parte del commissario Genovese).

Nel secondo episodio, Franco parte bene ma si fiacca un po' nel finale, lasciando il testimone ad Onorato, il vocione familiare (doppiatore di decine di attori) e la taglia da coatto. Lassander in ombra e poco incisiva.

Nell'ultimo episodio è tutto sulle spalle di Pozzetto, nel bene e nel male. La sua comicità nonsense lascia il segno, ma Borgese e Ghiani danno poco aiuto e le idee finiscono presto. Non pervenuta la valletta Garganese anche se, a sua parziale discolpa, è stata scritturata solo per mostrare gambe e culo.

La pellicola è stata girata a Roma e dintorni.
Nel secondo episodio, il film in cui Franco fa da comparsa vestito da donna è girato alle cascate di Monte Gelato a Mazzano Romano (RM).

Stesso regista, stessi protagonisti maschili, stessa primadonna (Fenech) e stesso format giudiziale, torneranno in "Ricchi, ricchissimi... praticamente in mutande" (1982).



Colonna sonora curata da Mariano Detto, così come l'omonima canzone che prende il nome dal titolo, cantata da Anna, Patrizia ed Enzo del Gruppo Clown; sciocca ma orecchiabile.

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