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Le confessioni

Regia di Roberto Andò vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Le confessioni

di viacristallini99
4 stelle

La sensazione che ho avuto nella visione, è quella dell'ascolto di una bella canzone straniera. Bella la musica e la voce del cantante; peccato che quando leggi la traduzione ti accorgi che quello che dice, in fondo non dice niente: è solo un elenco di frasi fatte, prive di una vera e credibile ispirazione.

Dopo la fantapolitica di “Viva la libertà”, Andò debutta in fantaeconomia mistico-religiosa con contorno di patatine e maionese. Piatto unico ma completo che fa subito presa su solerti suonatori di tam-tam. E così il successo è assicurato.

Che l'economia del mondo sia nelle mani di pochi è risaputo. Pretendere di conoscere i meccanismi del potere è più difficile.  Immaginare che il tutto possa essere contenuto in una formula matematica è assurdo.   Lo stesso concetto di economia espresso nel film è fuorviante dal momento che essa viene concepita come un complesso di regole che determinano i meccanismi mentre, il più delle volte,  è solo interprete delle conseguenze di meccanismi il cui avvio si perde nella notte dei tempi.  Il regista si fa allora portavoce di un'idea popolare e semplicistica di come vanno le cose e trasforma la trama in una favola: il bene ed il male che si contrappongono in una lotta sottile, alla fine della quale il bene trionfa.  Il male, è inutile dirlo, sono i banchieri ed i politici; il bene è travestito da frate.  Quei personaggi si incontrano in una specie di G8 informale.  Il colpo di scena:  di fronte alla morte incipiente per cancro, il banchiere, visto come principale esponente del male, si pente dei propri peccati e si confessa poco prima di suicidarsi.  Gli altri vorrebbero conoscere il contenuto della confessione e mettono il frate sotto pressione per estorcergli il segreto.  Il frate non molla e così il pentimento prende piede.  Altri due esponenti di quel manipolo di potenti si ravvedono delle cattiverie perpetrate ai danni dell'umanità e prendono la via della redenzione dal peccato.  Il frate, allora, si prende gioco di tutti loro facendo credere che il banchiere abbia affidato a lui la divulgazione di una formula matematica capace di racchiudere la nuova manovra economica con cui rispondere alla crisi economica in atto senza rinunciare ai propri interessi di potere.  In realtà,  il banchiere aveva confessato al frate di inventarsi, sovente, formule senza alcun significato con cui soggiogava sistematicamente i politici, incapaci di comprenderle ma pronti a ritenerle frutto di una mente superiore, capace di formulare una reale e complessa strategia al servizio dei loro sporchi interessi.  Pur convinti che quella rivelazione contenga l'eredità malvagia del banchiere, i potenti comprendono che quella eredità non è più spendibile dal momento che la notizia del suicidio sarà vista come segno di debolezza e destabilizzerà la credibilità e la stessa forza di quel potere.

Una favola, non c'è che dire!  Raccontata, però, con la pretesa di una credibilità scientifica.  Forse l'errore del film è tutto qui.  Le favole hanno le loro regole, il loro linguaggio (ne è un mirabile esempio: "Lo chiamavano Jeeg Robot"); devono spaziare nella fantasia e non barcamenarsi tra scienza e cronaca, sia pure inventata.  Il regista sembra intuire l'evanescenza della trama e, nel tentativo di sorprendere lo spettatore, si inventa perfino un mistico intervento di forze occulte capaci di ammansire  cani feroci e far apparire uccelli paradisiaci che mostrano ai potenti la retta via.   Come dire: una mano dal cielo in soccorso al frate che, pur nelle vesti suadenti e sibilline di un affascinante Servillo, sembra non avere argomenti sufficienti all'esplicazione del proprio ruolo.

Un vero peccato, perchè la visione del film è affidata a scene di ampio respiro.  La scenografia è degna di un autore affermato e capace; la fotografia di tutto rispetto (la scena di Favino immerso in piscina è davvero suggestiva); la Nielesen affascinante più che mai e la colonna sonora esalta il ritmo del racconto.  Toni Servillo è l'icona che conosciamo, anche se nel caso in esame avrebbe potuto scambiare il ruolo con quello di Auteil ed il film forse non ne avrebbe risentito affatto.

 

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