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Le confessioni

Regia di Roberto Andò vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Le confessioni

di alan smithee
3 stelle

Tronfio, farraginoso e verbosamente fasullo, oltre che inconcludente. Andò gira con una certa eleganza leziosa un giallo ad incastro che si vorrebbe ad effetto, ma in realtà risulta pretenzioso e senza uscita. Un pò di modestia da parte di chi scrive e di senso pratico, avrebbero forse evitato troppe atmosfere involontariamente grottesche.

Un G8 riunisce i potenti dell'economia mondiale attorno ad un tavolo presso una lussuosa località tedesca. Non si sa bene perché, ma l'organizzatore del meeting, direttore del Fondo Monetario Internazionale, fa accorrere in loco pure una notissima scrittrice di romanzi per ragazzi, un rocker ed un frate italiano.

Come nella migliore tradizione dei gialli ad effetto (o come ne "La signora in giallo", la quale però, poverina, non ha nessuna ambizione né velleità pari a quella scriteriata degli autori di questo script) l'organizzatore viene trovato morto, poco dopo essersi confessato presso il suo religioso-idolo e riferimento spirituale: soffocato in circostante tutt'altro che chiare. Si tratta di suicidio? ma non ci sono lettere di commiato né comunicazioni? di omicidio? chissà.... e il prete, reticente e chiuso nel segreto della confessione, si rifiuta di riferire ciò che gli è stato riferito durante la celebrazione del sacramento. 

Perché economisti e politici sono tutti così preoccupati di ciò che il religioso può essere venuto a conoscenza tramite il defunto?

Sempre come nei migliori mistery o gialli, si pretenderebbe di avere risposte se non plausibili, almeno convincenti nel contesto di un'opera di fantasia: invece il film, formalmente diretto con mano sicura e gusto per le riprese ad effetto tecnicamente piuttosto convincenti, per quanto a volte leziose, si perde ad enunciare massime spesso banali o scontate che si vorrebbero invece argute, e teoremi compiacenti che non fanno che allungare il brodo verso una soluzione che si fa sempre più nebulosa e apocalitticamente e "matematicamente" improbabile. 

Il complotto per contrastare una congiuntura conomica avversa e il vociare confuso e inutilmente metaforico sulla crisi "pilotata" come un incendio che distrugge ciò che si trova dinanzi per poter permettere di ricostruire e risanare ciò che appare definitivamente corrotto, risultano entrambe presto fastidiose e farraginose, devastate per di più da una serie di personaggi-macchietta troppo artificiali e tendenziosi a cui davvero non si può dare credito.

Attori spesso bravi qui appaiono spesso imbarazzati: ciò accade a Pierfrancesco Favino ad esempio, uno degli illustri invitati a corte, mentre Lambert Wilson sembra cercare di minimizzare la sua parte per uscire di scena prima possibile; ancora due splendide donne ed attrici come la scandinava Connie Nielsen e la canadese Marie Joseé-Croze, costrette a ruoli rispettivamente imbarazzanti e insufficientemente costruiti, si limitano a mettersi in mostra, mettendo un risalto entrambe una bellezza che in ambedue i casi non cede al trascorrere degli anni.

E Toni Servillo? Costretto ad ascoltare i fringuelli che cantano, (la incredibile scena finale del funerale con l'uccello tropicale che fa capolinoi è da autolesionisti, se non masochisti) a reggere un pò tutta la baracca traballante ed improbabile che gli sceneggiatori costruiscono senza troppi fondamenti, recita con la consueta professionalità il suo ruolo cercando di evitare macchiettismi o caricature troppo grottesche, ma, per quanto bravo, senza poter permettere al film di risultare mai veramente accettabile o condivisibile in tutto il suo improbabile ed inutile svolgimento.

Scaricare su una formula (magica) tutto un'intreccio confuso in cui gli autori della sceneggiatura si sono un pò vigliaccamente rifugiati, senza saper evidentemente trovare nulla di più compiuto od accettabile da far digerire al pubblico, è davvero una triste ed inaccettabile verità. 

 

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