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Le confessioni

Regia di Roberto Andò vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su Le confessioni

di M Valdemar
2 stelle

 

locandina

Le confessioni (2016): locandina



Le confessioni di Roberto Andò. In forma di tronfio sermone fuori dal tempo, fuori dalla realtà - da qualsiasi realtà, da qualsiasi sua possibile rappresentazione - e oltre le barriere della più deleteria pretenziosità "autoriale".
Un ammasso gelatinoso - ma ricoperto di leziosissima glassa didattico-morale - di codici e generi e dogmi, un indigeribile pasticcio narrativo, estetico e stilistico, formale e sostanziale, scenico, linguistico, testuale.
I passi pesanti della lezione/omelia s'abbeverano, ebbri e febbrili, d'un blaterar "colto" sullo stato delle cose. Questione crisi globale - ancora - per massimi sistemi e massime sterili da paludato talk show: stilemi ammuffiti e stolidi marchingegni del racconto rivelano un immaginario povero, stantio, privo di melodia e fantasia - giacché tutto è riporto ed autoriporto -, in cui persino l'(ambita)eleganza della confezione annega nel maelstrom della mediocrità, e gli unici elementi attivi sono ancorati a un didascalismo e a uno schematismo, oltre che puerili, francamente irricevibili.
Un saggio/sfoggio alimentato dalla tesi; ma la tesi non significa né dimostra nulla: è esercizio retorico e liturgico onanistico, è fumo negli occhi (come la "formula magica" che magicamente riporta sulla retta via i potenti della Terra), è un in(de)finito insopportabile rimando al gioco degli opposti (bene-male, contabilità-anima, distruzione-creazione, segreto-confessione, caos-silenzio, finanza-etica, nero-bianco), è Servillo monaco dalle intonse vesti che s'aggira sornione e zen nelle vastità opulente del grande albergo (sito del summit dei ministri dell'economia del G8 sotto l'egida dell'FMI) con l'aria greve e saccente ma "buona" di chi ogni cosa sa/può.
M(od)esto nell'assunto, semplicistico e banalissimo nelle conclusioni, Le confessioni mette in atto una (involontaria) "distruzione creativa" degli elementi e dei luoghi filmici: sbrodola nella maniera, sragiona per simbolismi random (gli uccelli e i loro versi, il cane nero, l'acqua), ricerca incessantemente inquadrature e soluzioni formali ad effetto (non riuscendovi, mai), abbozza un'equazione che riprende canoni e linguaggi non propri per alimentare sé stessa.
Un'ibridazione sgraziata, fasulla e fallace, di fantapolitica (il top sono il Favino/Padoan "redento" e la ministra canadese femme fatale, ma anche la famigerata "manovra dell'Apocalisse" non scherza), di giallo da due soldi (in valuta non più corrente), di battutistica/aneddotica da bar, di demagogiche (t)rivel(l)azioni filosofico-spirituali, di atrofizzazione dei personaggi (irritanti per inutilità scrittrice, cantante, padrone dell'hotel, membri della sicurezza, comparse varie): un inesorabile, costante accoppiamento diabolico - eppure imperturbabile - col ridicolo (scena scult, tra le altre: l'esibizione "live", con amichevole partecipazione corale dei ministri, di Walk on the Wild Side ... ma povero Lou Reed!!).
Al quale, evidentemente, non c'è mai fine né fine che tenga: il numero di magia al funerale del monaco novello Houdini, in seguito provetto San Francesco, disegna sui volti degli altri attori partecipanti alla farsesca messinscena una perplessità cosmica che è anche quella dello spettatore.
Amen.

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