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Independence Day: Rigenerazione

Regia di Roland Emmerich vedi scheda film

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La recensione su Independence Day: Rigenerazione

di alan smithee
4 stelle

Tornano gli alieni cattivi, ma soprattutto torna l'accoppiata Emmerich/Devlin, forse più letale degli efferati extraterrestri. Storia, personaggi, situazioni..tutto come da ormai usurato cliché a cui da anni ci ha abituato lo scaltro regista tedesco, a cui tuttavia gli incassi danno sempre ragione; si avverte pero'presenza di un embrione di ironia.

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Trascorsi vent’anni esatti dal primo (sciagurato) sbarco alieno, potevano forse, la coppia diabolica ma regina del box office, formata dagli scaltri Roland Emmerich e Dean Devlin, sfuggire al richiamo irresistibile di un ritorno sul luogo del contatto?

Certo che no, visto che il tempo trascorso è ormai sufficiente per confrontarsi con più sofisticate tecniche di effetti speciali (seppur ancora piuttosto sorprendenti quelle del capostipite), e l’appiglio per la riproposizione/ritorno di una minaccia aliena non presenta sulla carta particolari problematiche in termini di complessità a trovare una continuazione.

Inoltre la costosa produzione non deve averci messo molto a convincere alcuni noti (ed altrove anche molto validi) attori (Goldblum e Pullman su tutti), capisaldi della prima puntata e qui elementi irrinunciabili per dare continuità alla vicenda richiamando in poltrona i molti che si entusiasmarono vent’anni orsono, a ripresentarsi dopo un tanto tempo per tornare a dare ognuno il suo eroico contributo alla cacciata dell’invasore cattivo.

Né ad assoldare un cast lungo come un esercito che conta, tra i tanti, di nomi di lusso come Charlotte Gainsbourg, e (bei) volti emergenti come quello di Maika Monroe e Liam Hemsworth.

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La storia ricalca perfettamente lo stereotipo della precedente invasione aliena e, più in generale, quella formula ormai ampiamente collaudata e foriera di incassi stratosferici che compone quasi tutto il cinema ridondante e chiassoso dello scaltro cineasta tedesco, da decenni ormai ospite fisso e dalle ottime rese dell’establishment hollywoodiano.

Qui le forze terrestri appaiono vagamente meno impreparate, visto che dalla precedente invasione hanno tratto spunto per studiare gli armamenti del vecchio invasore per progredire in modo più veloce e profittevole; lo sviluppo della vicenda rimane identico: alieni cattivissimi dalle sembianze per nulla originali (nient’altro che piccole varianti dei mostri della saga di Alien), astronavi immense che oscurano il cielo e ottenebrano interi quarti di pianeta; protagonisti eroici come Garibaldi (paragone infelice, mi rendo conto), ma ingenui in modo disarmante, prolissi, sentimentali da stomacare, propensi al martirio con una facilità che li rende più sinistramente kamikaze che eroi.

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Salvataggi di emergenza oltre ogni tempo massimo (madre e bambino presi al volo dall’elicottero quando il grattacielo si sgretola, grazie al prodigo intervento di una coraggiosa infermiera che ci rimette le piume), vittime indifese sempre ad un passo dall’abisso, ma sempre perennemente in salvo (i bambini e il cagnetto sull’autobus); personaggi tutti amici o parenti che si incontrano fortuitamente sfidando ogni probabilità statistica immaginabile (Goldblum che incontra il padre nel deserto mentre cerca di condurre in salvo l’autobus coi bambini e l’alieno gigante che li sta per acciuffare); scienziati pazzi e cappelloni che fanno sempre gli sciocchi (anzi i deficienti) ma poi sono in grado di capire tutto e trarne adeguato profitto.

Non si può certo lamentare la scarsa credibilità della quasi totalità di scene e situazioni, per carità: accettiamo (quasi) tutto di buon grado, ma questo cinema “reboante” (stavolta ho imparato…) ci ha stancato da tempo, già dal primo ancor più estenuante capitolo.

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Questo seguito non ci piace proprio per nulla, ma registriamo tuttavia in questa sede, facendo un inevitabile raffronto tra i due film, un po’ meno retorica (sempre troppa, a conti fatti) che rende tutto un po’ meno ostico ed indigesto, grazie anche ad una presenza larvale di ironia piazzata un po’ a caso in qualche dialogo, che ci incoraggia alla tolleranza, ma che svilisce presto dileguandosi, uccisa senza pietà dall’estenuante buonismo, dalla esaltazione ridondante e pedestre dei valori positivi che rendono l’America una terra di eroi da tutti i giorni; circostanza, quest’ultima, ingenua e greve che sfianca, ma che risulta tuttavia stemperata in parte dal fenomeno di cui sopra, che rappresenta un timido passo avanti rispetto al fastidioso, ancor più insopportabile primo episodio.

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