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Il ragno rosso

Regia di Marcin Koszalka vedi scheda film

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La recensione su Il ragno rosso

di alan smithee
7 stelle

La fascinazione del male, il desiderio di emergere e distinguersi, fuoriuscendo dai vincoli asfissianti di una cortina ed un appiattimento da regime che disperde ed annulla le individualità per far emergere il finto orgoglio di una globalità scevra da ripensamenti o dubbi.La genesi di un malessere che preferisce l'identificazione nel male assoluto.

locandina

Il ragno rosso (2015): locandina

Polonia 1967: un giovane di buona famiglia, bello, intelligente e fisicamente prestante, si distingue per abilità e coordinazione all'interno della squadra nazionale di tuffi, intenta ad allenarsi per rappresentare la nazione alle prossime ufficiali competizioni internazionali.

Mentre con i suoi compagni di squadra il giovane festeggia una brillante prestazione presso un luna park cittadino, lo stesso si accorge che, ai margini del campo divertimenti, giace un bambino massacrato con devastanti ferite alla testa. Guardandosi intorno scorge anche un tipo sospetto e, seguendolo, riesce a scoprire l'identità del manico omicida che da mesi tiene sotto scacco la capitale.

scena

Il ragno rosso (2015): scena

scena

Il ragno rosso (2015): scena

Da quel momento per il ragazzo, la consapevolezza di provare, anziché repulsione, una attrazione irresistibile verso quella persona, con cui riuscirà a confrontarsi, e a chiarirci in qualche modo che, se da una parte, quella dell'assassino seriale, abbiamo di fronte una persona profondamente malata e folle, dall'altra ci troviamo di fronte ad un giovane talentuoso che in qualche modo rivendica a sè tutte le responsabilità dell'assassino allo scopo di poter veramente emergenere da un anonimato che il regime impone anche per chi, come lui, sarebbe davvero in gradi di costruirsi, in un mondo diverso e di stampo pià occidentale, una fama e una notorietà in grado di distinguerlo dalla massa.

Interessante lo studio delle due psicologie degli altrettanto controversi personaggi che, attratti reciprocamente da interessi e convenoienze, finiscono per scambiarsi in senso univoco le esistenze, e le relative devastanti responsabilità.

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Il ragno rosso (2015): scena

scena

Il ragno rosso (2015): scena

Opera d'esordio nella narrativa di un apprezzato documentarista e direttore della fotografia di nome Marcin Koszalka, che si impegna anche dal punto di vista dei colori a dare un senso oppressivo alla società polacca di fine anni '60: una patina pastosa che vira al marrone sembra dilagare tra gli interstizi di una società da cui non trapelano sentimenti o vitalità che possano far volgere all'entusiasmo: Karol torna a casa ad ora tarda e trova per cena una fetta di pane con un salume di quart'ordine e tre fette di cetriolo sopra, oltre che una madre che lo osserva con una apatia che ricorda l'indifferenza.

Un'atmosfera stagnante che pare aver contagiato anche i corpi e le menti dei giovani atleti della squadra, ripresi nel vigore della giovinezza e nella perfezione dei corpi durante la doccia post-allenamento ad inizio film, ma subito reintrodotti nei ranghi di una impostazione da regime che li pretende tutti in forma, ma tutti uguali uno all'altro, a partire dal costume che indossano e dalle divise della squadra, che non prevedono personalizzazioni o stravaganze di abbinamenti insoliti o fuori dagli schemi.

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Il ragno rosso (2015): scena

scena

Il ragno rosso (2015): scena

Ecco che Koszalka - in questo suo thriller raggelato e controllato come da una imposizione dall'alto che ci induca a metterci nei panni dei singoli personaggi della storia - ci aiuta ad introdurci in un mondo da cui probabilmente il protagonista desidera uscire, o fuggire, ma da protagonista, non da tassello od ingranaggio infinitesimale di una struttura che si ritiene perfetta, ma spersonalizzata al massimo: da questo sintomo irresistibile, probabilmente deriva la fascinazione per il maniaco e il desiderio di rivendicare su di lui tutte le orrende responsabilità dei precedenti assassinii.

Nel contempo il cineasta ci mette nelle mani di una polizia che freddamente, meccanicamente, si accinge a ricostruire i dettagli di una storia che lei per prima desidera liquidare e togliersi di dosso più in fretta possibile, nonostante l'ancor giovane e nervoso, vitale l'ispettore di polizia sia colto da dubbi inequivocabili, e si strugga almeno singolarmente, o di fronte all'imputato, sulla indifferenza di quest'ultimo circa la eventualità di una condanna a morte che invece a lui - desideroso di vivere, come da sua stessa inequivocabile dichiarazione, pare una soluzione scioccante.

Koszalka riprende tutto dall'alto (notevoli e scenograficamente potenti le riprese insistite dalla cima della rupe antistante il parco giochi), spesso da distante, prediligendo gli stacchi vertiginosi su un percorso umano che pare incastrato in un limbo (quello del regime comunista che appiattisce, prevarica, tiene a bada e castra singole capacità e talenti) da cui anche dall'alto pare impossibile trovare una via d'uscita.

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