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La grande scommessa

Regia di Adam McKay vedi scheda film

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Enrique

Enrique

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La recensione su La grande scommessa

di Enrique
8 stelle

I soggetti:

hedge fund, banche d’affari, ISDA e società di rating, ma anche (a sprazzi) i gangli vitali della società americana profonda, ovvero i giovani manager delle agenzie immobiliari, per un verso, e la gente comune (spogliarelliste comprese), per l’altro, inconsapevoli protagonisti della sciagura che si sarebbe abbattuta di lì a poco su tutti quanti, a partire proprio da loro.

Gli oggetti:

swap, CDS (credit default swap), CDO (meglio se “sintetiche”), bond ipotecari (insomma, titoli derivati) e mutui subrpime; contratti di compravendita immobiliare (alla base) e prodotti della “finanza creativa”.

 

I predicati verbali:

la cartolarizzazione di crediti garantiti da ipoteche, la svendita dei rating, la speculazione delle bolle immobiliari (prima) e finanziarie (poi), le vendite allo scoperto. la copertura dei rischi e le scommesse; le grandi scommesse.

 

La sintassi del film è fatta per provocare goduria massima per masse cerebrali che intendono provare il brivido di andare a fondo delle cose; poco prima che a fondo vadano le case.

E le persone.

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Sì, dalla posizione sicura di chi non ha il piacere di fare parte – professionalmente parlando - di tale sistema (subendone pressioni di parte e oscillazioni di rendimento, ma alimentandolo al contempo), ovvero di chi non ha subito il dramma del fallimento patrimoniale e (dunque spesso) esistenziale, il film di A.McKay è fonte di somma esaltazione (un sentimento di giubilo che, però, dura giusto il tempo della consapevolezza – amarissima – che non ci può essere soddisfazione della vincita in un unico villaggio globale, prono faccia a terra); ma non al 100%, a ben vedere; qualche attimo di stanca di troppo, piuttosto che semplificazioni solo pretese in fase di decifratura di tecnicismi di una certa astrusità (la piena, appagante comprensione è un’altra cosa), oltre ad un leggero odore di retorica moralizzante (prevalentemente addensata sul personaggio di S.Carrel, il cui interesse finanziario si confonde con quello personale e poi si fa crociata, per l’appunto, sociale) appannano un poco lo splendore del risultato finale; ma è giusto un alone.

Anche perché, mentre di film sulla alta finanza che, ad un certo punto della nostra storia più recente, si è inceppata e ha fatto andare tutto a rotoli oramai se ne stanno producendo un certo numero (benissimo; ricordo – solo per rimanere ai fatti di 10 anni fa - film come, Wall Street. Il denaro non dorme mai, Margin Call o Too big to fail), quello in commento presenta pregi che lo contraddistinguono (in meglio) dagli altri del filone;

per la prima volta porta letteralmente alla ribalta i prodotti finanziari; li identifica per nome, uno ad uno (altrove non ne sono stati fatti oggetto del contendere, ma mero pretesto di riflessione) e scende nella di essi “approfondita” disamina;

perchè, per l’appunto, sulla struttura di tali prodotti finanziari (che vengono spacciati per titoli alla portata di tutti quando sono offerti al mercato, ma sono alla portata di pochi quando si tratta di comprenderne pro e contro e previsioni sull’andamento) prova a fare definitiva chiarezza e nei modi più disparati, vuoi coinvolgendo illustri celebrità dello showbiz, vuoi coinvolgendo il pubblico stesso, spesso interlocutore diretto dei protagonisti, che lo cercano per creare un clima di confidenza capace di metterlo più a suo agio in un contesto che è disagevole in re ipsa;

e ancora, sempre per la prima volta, analizza il fenomeno dal di dentro, ma non da un inodoor qualunque; dall’indoor di chi aveva capito tutto, aveva compreso il funzionamento del meccanismo e, da un certo punto in avanti, aveva anche interesse (finanziario e personale, ciò che lo rendeva - ma senza esagerare - un filino ipocrita quando additava i suoi interlocutori banchieri o le Agenzie di rating) a svelarlo agli altri attori del sistema (le banche e le agenzie di rating, in primis, che avrebbero dovuto invertire il trend speculativo, cessando di investire sulle cartolarizzazioni dei subprime e le relative catene di scommesse);

infine perchè sfata l’opinione diffusa che la crisi debba farsi risalire ad un fulmine a ciel sereno datato estate 2008 (al riguardo già mi sono espresso criticamente nel commento al film Margin Call); in quel momento, piuttosto è solo esplosa la bolla, ma l’incubazione durava da anni e gli osservatori più attenti al portafoglio si sono fatti progressivamente in numero sempre più nutrito già negli anni precedenti (figuriamoci nei mesi precedenti), benché  altre forze remassero contro…

Ciò che mi porta a ricordare un ulteriore piccolo neo (conseguenza comprensibile dell’aver concentrato tutto il proprio focus dell’attenzione sui protagonisti; anche un po’ antagonisti; stakeholders minoritari del sistema in questione, ciò che comunque ha comportato un notevole dispendio di energie), ovvero quello di essersi concentrato sul solo fronte dell’iniziativa del mercato, dei privati, omettendo, in buona sostanza (anche se non passerà inosservata la scena del dialogo fra uno dei predetti protagonisti e la ragazza del fratello dell’amico ecc. che lavorava alla SEF ma non vedeva l’ora di staccare il biglietto per Goldman Sachs; cosa da non credere alle proprie pupille / orecchie) di scandagliare la follia della deregolamentazione del sistema, ergo l’operato latitante ed il punto di vista delle Istituzioni governative e/o comunque di vigilanza, le massime responsabili del collasso del sistema proprio perché, mentre i privati, per natura perseguono il lucro (ciò che sta nell’ordine naturale delle cose), le autorità pubbliche sono investite di una mission istituzionale che hanno spudoratamente disonorato e tradito con una meschinità che, a pensarci bene, fa ribollire il sangue nelle vene.

 

Un film assolutamente da vedere e rivedere; ed analizzare; soffermandosi su quanto viene detto… e su quanto viene scritto; didascalie esplicative, benché volatili, compaiono ripetutamente, oltre a quelle riportate sui titoli di coda, che, lapidarie, imprimono un vero e proprio pugno nello stomaco e fanno da preludio a bacini di altre storie come questa; e di molti altri drammi sociali ed umani; che, quando pure esaltano (per l’attualità delle tematiche descritte e la prestanza stilistica), al contempo sconfortano profondamente per il sacrificio che fanno della fiducia nell’uomo e nelle sue istituzioni.

 

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