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Un bacio

Regia di Ivan Cotroneo vedi scheda film

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La recensione su Un bacio

di MarioC
4 stelle

Alla seconda prova cinematografica (dopo il non del tutto disprezzabile La kriptonite nella borsa), Ivan Cotroneo è già diventato un regista di maniera. Rispolverando il compatto armamentario pop della serie televisiva Tutti pazzi per amore (balletti, inserti di leggero onirismo, effetti grafici un po’ fuori contesto), il regista lo trasfonde sul grande schermo, in un contesto meno generalista e meno sui generis, conferendo alla pellicola uno strano indigeribile retrogusto di affettazione e posa (maniera, appunto).

Un bacio è un suo libro qui riadattato, sorta di abbecedario e compendio di vite e crescite difficili, la cronaca molto complice e quasi mai scarna di un gruppo di adolescenti ciascuno dei quali segnato, per la sua parte, da un’ombra che ne rallenta (e forse, come da tradizione italica, ne rafforza, ma anche no, si vedrà nel finale) la piena maturazione. Il primo passo manierista è la tipizzazione: il gay, lo scontroso dal cuore buono ma esacerbato, la ragazzina che gioca alla femme fatale, percorsa da semi di ribellismo ma ancorata a radici familiari di difficile estirpazione. Il pregio di tale elencazione di caratteri è il gioco scoperto: Cotroneo individua un nucleo di soggetti e, in parte, lo isola, facendone paradigma di animali dalla scarsa socialità, tutti protesi al superamento di quelle difficoltà così singole e personali e tuttavia capace di stemperarsi nella forza centrifuga di un gruppo compatto come testuggine. Altro punto a favore sta nell’aver evitato (almeno nelle intenzioni, che si intravedono in controluce) una eccessiva semplificazione: il ragazzo gay trasmette antipatia, in quella sua smaccata coscienza di sé che, se a quella età appare non copernicana invenzione letteraria, pure evita il facile rischio di una identificazione sentimentale e civile a prescindere; la ragazza è percorsa da un attivismo molto fine a se stesso, eppure vitalissimo (una specie di vedo gente faccio cose 2.0); l’altro esponente del gruppo, il più difficile, il più distaccato in apparenza, agnello sacrificale di una contesa amorosa presto rivelata, si accolla i rischi del drammatico finale.

 

 

E’ proprio dal finale che occorre partire per snocciolare i difetti del film, non pochi. Nonostante l’aggiramento dell’happy end all’italiana (in parte rientrato dalla finestra di un’ultimissima inquadratura che rielabora la bellezza del sogno e del come sarebbe andata se…) l’exit drammaturgico appare eccessivo e pomposo, quasi a ridefinire i ruoli e le specificità dei singoli: la vittima sacrificale era tale sin dall’inizio, nella sua condizione di alterità e diversità, il carnefice paga dazio ad una inconoscibile e confusa tempesta ormonale che offusca la mente ed arma la mano. Il tutto mentre la ribelle rientra nei ranghi e si scopre, ancora, bambina. I rischi dello schematismo, in principio occultati con difficoltà, riemergono con forza in fase di chiusura.

E poi (male endemico, lo sappiamo e lo sottolineiamo con mestizia) la scrittura, la sceneggiatura. Il romanzo di formazione per adolescenti non può naturalmente essere un fiorire di metafore kafkiane. Certo, però, che le battute germogliano male, sempre “appoggiate”, perennemente declamate, piccole, dolci sentenze che aspirano ai memorabilia e si rintanano presto nell’angolo oscuro del dimenticabile. Colpa, forse ed anche, di un parco attoriale non propriamente all’altezza: bravo nel rendere gli spaesamenti dell’età acerba, molto meno nel creare compartecipazione effettiva ed affettiva. Momento scult: le apparizioni del giovane morto, i dialoghi con l’attore protagonista, i consigli del fratello maggiore che dovrebbero costituire (onirismo e sogno, anche qui) il rifugio di un’anima in pena e che invece, scolasticamente, ne acuiscono i sensi di colpa ed il sentimento di precarietà.

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