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La vita è meravigliosa

Regia di Frank Capra vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La vita è meravigliosa

di PETRAgrafico88
10 stelle

“La vita è meravigliosa” (“It’s a wonderful life”) è un film americano, in bianco e nero, del 1946, famosa opera di uno dei cineasti più importanti del cinema mondiale, ovvero Frank Capra.

Ispirato ad un racconto dell’ autore Philip Van Doren Stern, il film vede la partecipazione di attori eccellenti, quali il famosissimo James Stewart (“La donna che visse due volte”, “La finestra sul cortile”), l’attrice, premio Oscar, Donna Reed (“Da qui all’eternità”) e, tra gli altri, Lionel Barrymore, uno degli appartenenti alla famiglia d’attori più famosa di Hollywood, nonché prozio dell’attrice americana, pluripremiata e talentuosa, Drew Barrymore.

Suddetto film è considerato dalla maggior parte dei cineasti, dei critici e del pubblico, uno dei più belli e intensi della storia del cinema, il cui titolo ne incarna e anticipa assolutamente l’indimenticabile sostanza artistica ed emozionale.

Ricordiamo la trama: in una cittadina americana di provincia viene presentata la storia di George Bailey, interpretato da James Stewart, un giovane dal temperamento forte, determinato, amante dell’avventura e desideroso di vedere realizzati i suoi sogni, impaziente di costruirsi un futuro lontano dalla sua città natia, nonostante faccia parte di una bella famiglia che, nel paese, gode di grande considerazione.

Purtroppo, George non lascerà mai la città a causa di vari impedimenti che vorranno la sua partecipazione attiva, quali la morte del padre e la conseguente direzione della società di famiglia, portandolo a diventare, grazie anche alla collaborazione di sua moglie Mary (Donna Reed), uno dei più stimati professionisti della città, sempre pronto ad aiutare e a non scendere a compromessi, soprattutto nei confronti del ricco capitalista Henry Potter (Lionel Barrymore), che non è parente del famoso maghetto, bensì un anziano affarista senza scrupoli e misericordia, incapace di venire incontro alle esigenze di alcuna persona.

L’ opera filmica, dall’ inizio fino alla metà della sua durata, procede fra le gioie e i sacrifici del protagonista e del suo nucleo familiare finché, un giorno, George scopre un guaio finanziario riguardante la sua società, a cui gli è difficile porre rimedio. Da questo momento, in quella che può essere considerata la seconda parte narrante del film, interviene l’aiuto Divino, impersonato dall’angelo custode Clarence che, in prossimità della vigilia di Natale, lo porterà a riscoprire la bellezza della sua vita nell’ istante in cui, esasperato, George penserà di dover porre fine ad essa.

La bellezza primaria di quest’ opera, dal sapore sempre attuale, è proprio la grande vicinanza ai problemi reali che si riscontrano nella vita di ogni persona: George Bailey è uno di noi, un individuo qualunque con delle aspettative positive, delle alte aspirazioni, che vede porsi nel suo cammino un intreccio di situazioni di crisi non facili da affrontare, che viene costretto dal destino ad andare contro i suoi sogni per cercare di risolverle. Inoltre, è abitante di una realtà provinciale fine a se stessa, una piccola cittadina in cui si conoscono tutti e non succede nulla di clamoroso, resa un po’ cupa dalla lontananza dalle grandi metropoli; qui è presente il concetto di felicità infuso dalla tipica società borghese americana, riscontrabile nelle nozioni di fama e denaro ma, nel corso della pellicola, tale idea viene sovvertita: i valori della famiglia e della fatica quotidiana con cui i personaggi devono inevitabilmente scontrarsi non giungono surclassati da voglie egoistiche e provinciali, bensì vengono catturati e posti al primo posto nella lista delle priorità, come manifestato nei comportamenti di George, in cui il forte senso di responsabilità e l’ altruistica scelta di rinunciare alle sue esigenze per correre incontro a quelle altrui, lo pongono come una singolare persona che incarna

l’ unicità, l’ apprezzabilità di valori alti, in contrasto con la ristretta realtà in cui è inserito e da cui ci si aspetterebbe un comportamento spinto verso l’egoismo e la fuga verso diversi lidi.

Capra mostra la bellezza della fatica della vita attraverso George Bailey, non mostrata come un fine sterile che porta solo alla disperazione senza alcun frutto, ma, invece, accolta come distacco dalla mediocrità per innalzarsi verso la progressione di quella società filantropica e benevolente che molti di noi vorremmo esistesse.

Nell’opera filmica, Henry Potter è l’ antagonista per eccellenza a suddetta visione: è il nemico delle dottrine della magnanimità e dell’ altruismo, specchio fin troppo evidente della durezza di cuore e del favoreggiamento alla corruzione finalizzato al mero guadagno, comportamento purtroppo riscontrabile fin troppo nella nostra realtà, l’ opposto di George che, passando attraverso sentieri molto più impegnativi e tortuosi, è l’ emblema dell’ onestà intellettuale, dell’ abnegazione e della generosità perfetta, non corruttibile nemmeno nei momenti più disperati, figura positiva a tutto tondo nonostante i suoi difetti umani.

Nel quadro che incornicia la descrizione finita del protagonista, possiamo affermare che sia un carattere che incarna tutte le persone che fanno dell’ onestà e, addirittura, delle cadute della vita, il proprio scudo contro la bruttura della cattiveria dell’animo umano e la sua carenza di abnegazione, non accettando di sottomettersi a delle pure logiche di guadagno.

Come citato prima, nella seconda parte del film interviene una presenza nuova nella vita di George, quella del suo angelo custode Clarence.

Non potrebbe esserci figura più semplice e tenera, bambinesca, un' anima felice, innocente ma dotata di una saggezza pragmatica e non confusa, mandata da una dimensione paradisiaca che fin dalla prima scena del film si mostra interessata e partecipativa al dramma dell’ uomo, arrivando a far scendere tempestivamente il suo singolare e solidale aiuto.

Clarence è candido, antico (viene da un’ epoca remota!), la sua fede, come afferma la voce del Signore in persona, “E' come quella di un bambino: è pura!”, una guida impacciata senza però essere inutile o dispersiva, differente da altre configurazioni di angeli custodi che spesso si incontrano in vari lungometraggi e che, da questa in particolare, hanno certamente preso ispirazione. Un esempio concreto è il film “Angel-A” del cineasta Luc Besson, film suggerito dall’ opera di Frank Capra come dichiarato dallo stesso regista, che propone una versione più moderna e d’ aspetto molto differente da “la vita è meravigliosa”, strutturalmente parlando, perché il regista francese porta allo spettatore una donna, un angelo appunto, più affascinante, bello, determinato, che incarna in se sia l’ aspetto maschile sia femminile dello spirito umano, portato a fare da spalla ad un protagonista poco di buono che non sa ancora di essere perbene e potenzialmente onesto, quindi una configurazione del tutto ribaltata rispetto al rotondo e benevolo Clarence.

Tornando al film in analisi, nella seconda parte dell’ opera Clarence è, ovviamente, il punto di partenza di un nuovo inizio, una buona novella che distoglie da tutto ciò che di negativo prima esisteva, per proporre una visione del futuro più portata all’ottimismo; è un’ icona fantastica che, in letteratura, nella struttura letteraria delle favole, troveremmo legata al magico:

quest’ angelo è paragonabile a quella schiera di assistenti fiabeschi, quali fate, gnomi o folletti, che soccorrono il personaggio principale in difficoltà, infondendogli coraggio e facendogli trovare la soluzione per sconfiggere i nemici, come il famoso drago, per esempio, per poi portarlo a raggiungere il castello dove, alla fine delle tribolazioni, diventerà re. La figura angelica in questione è un’ ancora psicologica che può rimanere sospesa fra il simbolico e il religioso, indispensabile per azzerare i passati eventi e portare a ricominciare dal punto in cui ci si è lasciati andare, per non perdere quel bel posto nel mondo che si è potuto conquistare col sudore e l’abnegazione di tutta una vita.

La struttura dell’ opera ha nel profondo un’ atmosfera magica, poetica, come sospesa, intensamente descritta da una regia che non manca di fornire un occhio particolarmente teso verso la vita autentica, difficile e quanto mai coraggiosa intorno alle scelte del protagonista e dei suoi cari, linearmente composta fra primi piani intensi e le corali descrizioni tipiche della fotografia della macchina hollywoodiana di quegli anni, incorniciata da una sceneggiatura che sa bene alternare momenti gioiosi a sentimenti d’ angoscia, e tutto ciò fuso insieme con molta credibilità, facilità, intensità non comune, dove sembra che la narrazione scivoli nella mente dello spettatore senza alcun problema e, in contrapposizione a questa semplicità d’ assimilazione, pone in esso un senso di appartenenza alla storia molto coinvolgente, partecipativo, inclusivo, senza creare per forza angoscia e confusione.

Tra le molte scelte del regista, in particolare l’ interpretazione sentita di tutti gli attori, i principali come i secondari, è assolutamente efficace: Capra non crea scene fini a se stesse, ma le lega teatralmente in un connubio tra montaggio, sceneggiatura e recitazione vivo e strettamente collegato alla bravura e naturalezza delle espressioni sempre sentite, sottolineate sui volti con una luce particolare e luminosa, ben visibile in molti primi piani.

Singolare, poi, la scelta di non correlare tutte le scene con la colonna sonora: fin dalla prima scena, il film viene introdotto dal suono delle campane che ne avviano i titoli di testa, anch’ essi sostenuti da un motivo musicale allegro e festoso; poi, sempre nella prima parte della pellicola, quasi tutte le scene successive sono prive di sottofondo musicale. La seconda parte, al contrario, è più viva: in essa ascoltiamo degli spezzoni musicali brevi, sottolineanti i momenti più significativi, più dolci e sereni, quasi che Capra avvia voluto rimarcarli apposta per preferirli volontariamente a quelli più tristi.

L’exploit avviene nella scena finale, in cui il canto di Natale liberatorio corona la storia a lieto fine, conclusa dall’ atmosfera natalizia gioiosa e grata, dove l’intento chiaro è ricordare che il valore degli affetti veri vale molto più di tutte le preoccupazioni del mondo e della sterile ricerca della ricchezza, concetto che ricorda molto un’ altra favola natalizia che viene da lontano, ossia “Canto di Natale”, libro di Charles Dickens poi proposto come pellicola in tante visioni diverse, dove mai potremmo paragonare George ad uno Scrooge ma possiamo ricordarne il messaggio, cioè l’ importanza della festività, della bontà e della generosità contro il gelo dell’ avarizia, valori analoghi e vicini alla proposta filmica di Capra.

Forse è anche questo il motivo che fa preferire questo capolavoro ad alcune reti televisive che lo ripropongono spesso durante le feste di Natale, ponendolo come scelta, a volte, quasi obbligata, rispetto ad altre pellicole natalizie consuete.

Potrei aggiungere tante altre cose ma dovrei scrivere un papiro lungo un secolo, quindi mi fermo qui.

Per concludere: che altro dire di questo film? So di essere banale, me lo concederete: è il mio film preferito e mi dispiacerebbe sciuparvene la curiosità e la visione privata…

Quindi, in una parola: splendido!

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