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Una vita difficile

Regia di Dino Risi vedi scheda film

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La recensione su Una vita difficile

di lamettrie
8 stelle

Un grande film, istruttivo per alcuni problemi tradizionali dell’italiano, e non solo: l’incoerenza, l’autosopravvalutazione e lo scarso senso di realtà.

Il protagonista, magistralmente incarnato da Sordi, è un personaggio positivo, anche se nel complesso è un perdente, nell’errato senso tradizionale del termine. È sempre dibattuto tra aspirazioni elevate e assenza di pragmatismo. Non sa calibrare, cioè, il proprio pur lodevolissimo impegno. Non riesce a innervare i nobili ideali che ha in uno stile di vita in cui poter coniugare queste due necessità: la necessità della tranquillità economica, da una parte, con la necessità, ugualmente stringente se si vuol essere felici, di una vita coerente con principi morali degni.

Questa riuscitissima opera di Risi è un interrogativo aperto su un’intera generazione di intellettuali: o, per meglio dire, sugli intellettuali di tante generazioni. Educati troppo al sogno, a credere che la realtà dovesse ricalcare quello che avevano in testa loro, questi intellettuali, spesso sfornati da una istituzione considerata augusta in Italia come il liceo classico, non sanno fare i conti con la realtà. Risi mette in scena la sconfitta dei sognatori, con il consueto, meritorio realismo, ma tendente al pessimista.

Altro aspetto molto interessante, e non legato solo a quell’epoca (da metà anni ’40 a inizio anni ’60), è la disamina amaramente critica riguardo all’intellettuale di sinistra. Sordi ne interpreta uno abbastanza coerente, e anche per questo però paga un dazio tremendo, in termini di opportunità perse e di serenità introvabile. Ma è anche vero che il protagonista riesce quasi sempre a tenersi lontano dall’opportunismo. E la sceneggiatura di Sonego ha il merito di mostrare questo errore italiano, e non solo: sei costretto a scegliere tra tranquillità economica, da una parte, e serietà e coerenza dell’altra. Se vuoi avere una dignità e una coscienza, devi essere povero, perché la classe dirigente (lì, ma non solo lì, è quella del capitalismo, in tempi di ricostruzione e poi boom economico) è del tutto marcia, e dà lavoro solo a gente che si rende strumento della menzogna e della sopraffazione iniqua; se però vuoi tenerti lontano dagli stenti, devi prostituirti, diventare strumento consapevole di male. Lì la carriera e gli stipendi si aprono, quasi per incanto, se paragonati alla miseria di prima.

Ma anche lui si tradisce, alla fine. Si vende, ma poi il finale mostra uno di quegli scatti d’orgoglio che rendono splendido il film, tanto da consegnare alla memoria una lezione salutare, su ciò che non dobbiamo più fare e non dobbiamo più permettere che altri facciano. Ciò che rende nobile il protagonista, pur con le sue umane debolezze e incoerenze, è proprio l’indignazione nei confronti dell’umiliazione subita, dell'offesa alla dignità, dell’ingiustizia. Ma è chiaro che pagherà sulla sua pelle il gesto su cui si chiude il film.  

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