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Viridiana

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Viridiana

di vermeverde
10 stelle

”Viridiana” è il film che inaugura l’ultimo periodo dell’attività di Luis Buñuel girato nel 1961 quando rientrò in Spagna dopo il trentennale esilio volontario.

Buñuel, che si dichiarava ateo, nel film affronta il tema della disillusione da parte di chi con fervente adesione metteva in pratica i dettami religiosi ma vedeva le proprie azioni ed i propri comportamenti sortire effetti perversi. Questo tema che appare particolarmente caro al regista era stato affrontato già in “Nazarin” nel 1958 e affronterà di nuovo in “Simon del deserto” del 1963, qui soprattutto criticando che vuol porsi al di sopra del mondo reale.

Il film narra le vicende di una ragazza, Viridiana, in procinto di diventare suora ma, a causa del suicidio dello zio, don Jaime, da lei respinto, rimane come erede nella villa e, da laica, dà asilo a un gruppo di derelitti. Anche Jorge, il figlio illegittimo di don Jaime, coeredita la villa e si dedica a restaurarla ed a renderla produttiva. La «corte dei miracoli» non appena i padroni si assentano si rivela composta da laidi individui animati da bassi istinti e privi di morale e si abbandonano ad un’orgia cercando perfino di stuprare Viridiana. Fuggiti i mendicanti, i film si conclude con una chiara allusione ad un rapporto a tre fra Jorge, Viridiana e la serva Ramona.

Il film è disseminato di rimandi simbolici tali da costituire un sottotesto allegorico parallelo perfettamente integrato  al racconto visivo della trama. Fra i numerosi altri, trovo particolarmente significativI: nelle prima scene la ripresa di Viridiana e delle suore a mezza figura, mentre nella successiva di Viridiana e don Jaime sono ripresi solo i piedi mentre camminano a significare l’attrazione verso le cose terrene a contrasto con la tensione spirituale della scena precedente; don Jaime che non cura il giardino da 20 anni, oltre ad esserne un tipico rappresentante, simboleggia così la stagnazione della Spagna franchista; l’irruzione di Jorge nella camera di Viridiana senza chiedere permesso è una chiara allusione al suo desiderio di possederla; il montaggio alternato su chi lavora e su chi prega durante il restauro della villa allude alla sottomissione del popolo spagnolo  sia al potere economico da un lato sia al potere religioso dall’altro.

Il film alla sua uscita scandalizzò gli ambienti franchisti e la Chiesa per la sua impostazione dissacratoria ritenuta offensiva per la religione cattolica. Fu particolarmente osteggiato per la presunta blasfemia nel parodiare l’Ultima cena di Leonardo con la tavolata dei laidi e ripugnanti mendicanti, i cui tipi sembrano ispirati ai “Capricci” di Goya e al “Cristo portacroce” di Hieronymus Bosch, e perché la disillusa Viridiana brucia la corona di spine che teneva con sé, come pure la croce che contiene una lama fra i gioielli esaminati da Jorge. In realtà penso che Buñuel abbia voluto più stigmatizzare le immagini esteriori ed i simulacri come simboli di un’adesione pietistica ed acritica alla religione che la religione vera e propria. Anzi, trovo paradossale che un ateo dichiarato come Buñuel nella parodia dell’ultima cena abbia dato una perfetta rappresentazione, non so se consapevolmente voluta, dell’insegnamento di Gesù nel discorso della montagna “Non date le cose sante ai cani, e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino con i loro piedi e, rivoltandosi, vi sbranino”, con cui esortava ad avere prudenza nell’esercitare la carità e a non disperdere energie con persone che disprezzano la fede. Il fatto che Buñuel abbia affrontato spesso e con crudezza irriverente e sardonica il rapporto uomo/religione mi fa supporre che sentisse la necessità di protestare contro il “silenzio di Dio” e, forse, placare una sua inquietudine interiore confermando le sue convinzioni: il punto in cui è più lontano dalla fede non è in questi atteggiamenti eversivi, ma nel suo pressoché totale pessimismo.

In Viridiana è manifesta la maestria di Buñuel nel raccontare efficacemente per immagini anche gli aspetti surreali o  episodi sgradevoli e scabrosi con leggerezza e naturalezza, senza compiacimenti o cadute di gusto e mantenendo uno stile sobrio e lineare per cui nessuna scena appare superflua o ridondante. Il film è da considerarsi senz’altro un autentico capolavoro di uno dei massimi registi del Novecento.

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