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I vinti

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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La recensione su I vinti

di Baliverna
7 stelle

I vinti sono quelli che credono di essere più furbi degli altri.

E' una pellicola che vuole fotografare la nuova generazione di giovani sbandati del dopoguerra, che per la verità è almeno in parte applicabile ai tempi moderni. Sono giovani di famiglie ricche o comunque non povere, i cui desideri e valori sono il denaro, il successo, l'essere invidiati, il non fare fatica; soprattutto non vogliono lavorare onestamente. Desiderano solo godersi la vita nel senso più becero della parola, e non indietreggiano neppure davanti all'omicidio se questo è "necessario". Un altro elemento che li accomuna è che le loro famiglie neppure si sognano che i loro figli siano così, che mentano, imbroglino, truffino, non studino, e traffichino in loschi affari. Genitori paciosi o finti severi, che non sanno bene cosa combini il figlio ventenne, o mamme che lo trattano come un principino, un innocente che ha sempre ragione e tanto bisogno di attenzioni. E lui quando esce fa il contrabbandiere e ammazza pure qualcuno. Un'altra mamma crede che la figlia vada in gita con la scuola, mentre invece frequenta una brutta compagnia, concicliabolo per furti, truffe e avventurose fughe verso paradisi fiscali.
Questo genere di personaggi è stato indagato altre volte dal cinema italiano degli anni '50 e primi '60 (mi viene in mente  "Febbre di vivere" di Claudio Gora); è lecito quindi pensare che tipi così esistessero veramente, e che ce ne fossero diversi in giro. La guerra - è vero - li aveva traumatizzati con il suo carico di sofferenza e di morte, ma bisogna dire che i genitori avevano proposto loro modelli sbagliati, come il farsi una posizione, e avevano così contribuito alla loro degenerazione.
Antonioni dirige con il suo stile in sottotono, tanto che persino gli omicidi sono mostrati senza alcuna enfasi, cioè accorgimenti tecnici per dar loro rilievo. Non per questo, però, fanno meno impressione. A far stringere lo stomaco è se mai proprio la futilità dei motivi.
La pellicola poi trasuda malinconia come sempre nelle opere dell'autore, e rivela già il suo talento innato. Si vede cioè che dietro la macchina da presa non c'è uno qualunque, ma un cineasta che ha le idee chiare e sa essere sempre originale: penso al quasi piano-sequenza dell'inizio dell'episodio inglese, e alle inquadrature in genere molto composite. Promossa, quindi la regia del giovane Antonioni. Qualche eccesso io lo vedo nella scneneggiatura della ben nota Suso Cecchi d'Amico. La sua penna dipinge senza pietà questi giovani senza valori, denotando una cattiveria a cui non siamo abituati vedere nella scrittrice. La sua penna è appuntita, e nell'ultimo episodio credo che punga fin troppo: è difficile infatti immaginare un personaggio così cinico, avido, ambizioso, senza scrupoli, interessato, falso, arrampicatore, e allo stesso tempo ridente e giocoso. E' un piccolo mitomane, e allo stesso tempo praticamente un mostro. Ma l'episodio è tutta una mitragliata di cattiveria eccessiva anche nei dettagli, tra giornalisti disposti a tutto pur di avere "la colonna" e famiglie patetiche. C'è anche spazio per una giovane suora tornata a casa dalla mamma, mamma...
L'episodio migliore è, credo, il secondo, con un giovane ma già bravo Franco Interlenghi. Peccato che fu fatto limare dalla censura. Secondo me, però, siccome indica chiaramente dove sta il male e condanna chi lo fa, credo che questa sia una pellicola morale, che la censura non aveva motivo di toccare.

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