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Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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La recensione su 11 minuti

di EightAndHalf
9 stelle

 

Jerzy Skolimowski urla, impreca, si mette a correre, sfidando il Tempo e l'Immagine. 11 Minutes è l'ipercinetico sacrificio del Senso per il bene dell'immagine ultima, un interesse costruttivo ai fini del Cinema tout court, ma infamante per l'intera umanità. In fondo tutti i personaggi di 11 Minutes sono continuamente all'inseguimento di un soddisfacimento immediato che risponda ad un'esigenza fisiologico-istintuale, un gruppo di esseri umani mediocri come animali da offrire al Dio Immagine. Dopotutto, così come il Dio cristiano, l'immagine è dappertutto, in 11 Minutes. Il reale non è più il "reale", ma è l'accostamento montato di sguardi slegati, robotici, computerizzati, le forme più vicine alla possibilità dell'oggettivo, ma limitati dai brucianti confini laterali dell'inquadratura. Il mondo di 11 Minutes - nel prologo - è quello ripreso da Smart-Phone, Tablet, videocamere improvvisate, telecamere di sorveglianza. E poi - nel prosieugo - è quello accecato e devastato dalla droga, rallentato dalla gelosia, eccitato dalla vista di una donna, triste per la fine di un amore, impaurito alla vista di un uomo che si è ucciso, malato per un problema al cuore. Il tutto accumunato da una grande macchia nel cielo, il big eye che tutto osserva dall'alto, e che involontariamente irrompe anche nello schizzo di un anziano disegnatore di paesaggi.

 

 

Gli sguardi sono anche quelli moltiplicati dagli specchi, riflessi nel monitor di un computer portatile, le schegge sfaccettate di un mondo senza senso. Ma abbiamo anche il punto di vista di un cane, che, dagli istinti più innocenti degli esseri umani, si tiene basso e scruta il mondo da un'altezza "più sicura". 11 Minutes è puro Postmoderno.

 

 

All'atto compiuto la risposta estetica alla conquista del potere dell'immagine è l'assunzione, da parte del regista polacco, di un Cinema onnipotente, che decide da solo del tempo e del disporsi dinamico dei significanti. Come quando la goccia caduta ritorna al suo posto, e l'aereo passa più volte rumoroso sopra le inutili disgrazie umane. Ecco dunque che 11 Minutes sa trascendere il senso stesso del Cinema come forma creativa, e ne rivela il lato più infido e parassitario, come anche quello più affascinante e perverso. Non a caso si utilizza il genere più avvincente e thrilling per antomasia, l'azione, che del nonsense dei suoi intrighi assume linfa vitale, e non ne è involontariamente possessato come le più frequenti scadenti opere hollywoodiane. Si esce infatti dalla sala rinfrancati per aver visto un'opera complessa, sfaccettata, ma che soddisfa pure l'aspetto più spontaneo della Settima Arte, la ricerca dell'intrattenimento.

 

 

11 Minutes è il resoconto elettrizzante di un reale che non esiste più. Uno dei pochi capolavori della 72a Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, sicuramente tra i più belli in concorso.

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