Regia di Tim Miller vedi scheda film
Supereroe suo malgrado, greve e grossolano, schietto anzi dotato di sproloquio, Deadpool è frutto di una mutazione genetica deliberatamente scelta per scongiurare una fine inesorabile. Sceglie la tuta rossa per non doversi lavare ogni volta il costumino, convive con una vecchia cieca e grezza come lui, e ci diverte un mondo.
D'ora in poi, dopo Deadpool, ma anche dopo Lo chiamavano Jeeg Robot (una sorta di risposta italiana piuttosto riuscita ad una nuova tendenza di cui andremo a parlare qui di seguito) sarà dura riuscire a considerare seriamente la figura del supereoe; apprezzarne il suo eventuale lato oscuro, le sue problematiche inerenti la gestione di una doppia personalità troppo spesso ingombrante e difficoltosa da gestire.
Con Deadpool, finalmente anche la Marvel si prende un pò in giro e punta sull'ironia, sulla scorrettezza, sul politically uncorrect: parlandoci di un eroe davvero per caso, costretto ad una tutina rossa sin ridicola e rabberciata, dalle circostanze del destino, di fatto drammatiche, almeno in senso assoluto, che lo inducono a reagire ad una morte imminente ed improvvisa, anche a costo di subire una mutazione mostruosa.
La tragedia o l'incidente che incombe sul malcapitato conducendolo ad un passo dalla morte, ma di fatto in grado non solo di salvarlo, ma di trasformarlo in un essere sovraumano, in grado di autorigenerarsi (impagabile la scena dell'arto che ricresce) è solo la prima delle due circostanze che unisce ed accomuna (ma senza ombra di plagio uno sull'altro, sia ben inteso) queste due belle sorprese citate sopra (l'altra è Jeeg...appunto).
Deadpool che qui ci occupa, è davvero un film brioso, scorretto, volgare e sporco quanto basta per suscitare deliri di consensi tra la platea che già dal primo giorno di proiezione in Italia affolla in massa le sale, facendo ipotizzare anche da noi un grande risultato al botteghino, come peraltro già confermato nel mercato Usa.
Una storia apparentemente come tante, giostrata e scritta con brio, che utilizza diversi flashback organizzati efficacemente per scatenare l'adrenalina tra il pubblico che non può che apprezzare e divertirsi al sentire certe battute che e' lecito definire come minimo irresistibilmente autolesioniste.
Il protagonista che ironizza su molti argomenti: sul fatto che la produzione a corto di soldi impieghi come comprimari due Xmen decisamente meno glamour (e dunque meno costosi) dei cinque più famosi, o si mette a criticare le doci recitative di Ryan Reynols (ovvero di se stesso); altri personaggi sono davvero riusciti, come la coinquilina vecchia e cieca, sgradevole e sboccata che si diletta a montare mobiletti di Ikea con i risultati disastrosi che è facile immaginare.
E, sopra ogni cosa, un Ryan Reynold straordinario che riesce ad andare oltre l'espressività facciale (coperta e costretta, dunque limitata, da cerone quando va bene, da una maschera che ne cela persino le pupille per quasi 3/4 del film) e riesce tuttavia a dimostrarsi duttile, comico ed irresistibile con la sua mimica eccezionale.
Stan Lee, ovvero "papà (o meglio nonno) Marvel", non rinuncia al suo abituale cameo e, per restare in tema di scorrettezze, appare nel ruolo dell'allupato gestore di un locale per striptease.
Il film, mix di azione concitata, sparatorie e squartamenti senza troppe remore, scene maliziose dove il sesso è più raccontato che mostrato (ma per una produzione Marvel tutto ciò è un passo avanti notevole) è una furbata molto divertente che appaga il desiderio finalmente grossolano di svagarsi un pò e suscita risate liberatorie che sollecitano la voglia di scorrettezza e di evasione che troppo spesso non riusciamo o vogliamo tirar fuori.
E divertente e smargiassa, oltre che insolita in un film del genere "hero", è anche l'atmosfera scollacciata e talvolta chiaramente omosex con cui si presenta il brillante personaggio, tutto fisicità (seppur deviata, nel senso di sconvolta) e accettazione sarcastica delle proprie doti: una pallottola nell'ano diviene un baluardo di cui vantarsi ed ostentarne il foro in mezzo alle chiappe che stringono l'eroe nella tutina, e, nel finale spassoso, effusioni a non finire di "sospiri distratti" costituiscono la celebrazione definitiva degli Wham e in particolare di George Michael col suo celebre trascinante motivo Careless whisper.
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