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La corrispondenza

Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film

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La recensione su La corrispondenza

di M Valdemar
3 stelle

 

locandina

La corrispondenza (2016): locandina



Scrivendo undici volte "vattinne" La corrispondenza scompare dalla memoria.

O erano dieci?
Ma è come dialogare con un morto: il cinema di Tornatore, esploso come una supernova triste rivelandosi sbobba autoriale che non basterebbero dieci (o erano undici?) multiversi a contenerla. E sopportarla.
Malgrado il continuo reiterato cianciare di astrofisica - ma di quella elementare dei titoli noti a tutti e che infatti ai titoli, puntualmente, si ferma (il bosone di Higgs, la formazione delle galassie, la teoria delle stringhe) - quella del regista siciliano altro non è che una storiella sentimental-intimistica dispersa tra gli ammassi globulari dell'oltrestucchevolezza, dal soggetto nemmeno particolarmente originale, e sviluppata in maniera tanto boriosa quanto risibile.
Sintetizzando si potrebbe parlare di un «proposito insano: buono per la quarta di copertina di un romanzetto di fantascienza» - per dirla come uno dei personaggi (coda di paglia?) -, ripieno dello sguardo e del verbo "illuminato" di Tornatore che rumina "idee" come stelle cadenti che, cadute, provocano l'epifania di qualsiasi senso filmico.
Uno stregone fiero che crede di sedurre col raccont(in)o d'amore piegato dalla mortalità e protratto nel mondo digitale (lo stalker dall'aldilà poteva essere una buona pensata per un horror-thriller bello sporco) salvo poi utilizzare vecchi, obsoleti, banali trucchi da principianti, un po' come passare la matita su un foglio per leggere cosa c'era scritto in quello prima.
Trattato così, infatti, il pur affascinante pensiero della corrispondenza amorosa oltre il trapasso finisce col trapassare nella retorica andante e nella molestia dell'accumulo caotico e incontrollato: la portata del fiume di parole (sempre aventi la lucidatura intellettual-melodrammatica) sovraccarica la diga formale - che tra stunt della "kamikaze" (ma perché poi, dai), riprese panoramiche dal fascino "nordico", videoregistrazioni e inquadrature fisse su pc, supporti tecnologici vari, e i primi piani della Kurylenko - implode in una paradossale staticità.
D'altronde è il linguaggio del Nostro: pesante e deficitario nella resa, in maniera inversamente proporzionale alle (assurde) ambizioni. Si veda il copione: l'ideuzza tirata dilatata fino alle due ore, i personaggi lasciati allo sbando nel vuoto cosmico (e nel delirio tragicomico), il senso dell'opera fissato in due-tre frasette da cioccolatino ma dall'allure filosofico, dialoghi e monologhi inghiottiti nel buco nero delle banalità.
Imperdonabili poi certe cadute: la manfrina sull'indagine per capire se il caro era davvero estinto (all'università niente sanno mentre i funzionari pubblici rivelano la qualunque, alla faccia della privacy), il furto plurimo ai danni dell'intero condominio (per dire cosa?), il doppiaggio orribile, Biascica di Boris nei panni di uno tonto che però fa lo sguardo inquietante, gli abitanti (cinque in tutto, o giù di lì) dell'immaginaria ridente isola di Borgo Ventoso che dialogano tutti in inglese fluente ...
Oh, certo, e la suggestione della "metempsicosi" (buttata lì dal povero Jeremy Irons): cosa mai vorranno dire quel paio di scene ai giardinetti nelle quali un bel cane con gli occhi e l'espressione da tenero cucciolo di Irons (o era il contrario?) fissa intensamente la Kurylenko?
Un pasticcio galattico - con la benedizione del MiBACT (Tornatore per le sue sortite "internazionali" davvero necessita dei contributi statali?) - da cui si salva solo la bellezza magnetica, stellare, di Olga Kurylenko.
E grazie al bosone.

Olga Kurylenko

La corrispondenza (2016): Olga Kurylenko

Olga Kurylenko

La corrispondenza (2016): Olga Kurylenko

Olga Kurylenko

La corrispondenza (2016): Olga Kurylenko



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