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La corrispondenza

Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film

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La recensione su La corrispondenza

di amandagriss
7 stelle

 

Fantasma d’amore

 

Dopo Christopher Nolan e il suo palpitante universo interstellare, anche Giuseppe Tornatore ricorre all’astrofisica per mettere in scena la propria personale metafora sui sentimenti umani, in special modo sull’amore che lega due persone, dando forma alla sua idea di ‘corrispondenza di amorosi sensi’ capace di resistere e sopravvivere alla morte, di travalicare lo spazio ed il tempo, stabilendo tra i diretti interessati un contatto che oggi non avremmo difficoltà a definire telepatia, fino a costruire un’esistenza in simbiosi, dove l’uno completa l’altra, dove l’uno finisce i pensieri dell’altra e ne prevede e ne anticipa azioni e reazioni.

2 corpi e un’anima sola.

Che la magia dei nuovi mezzi di comunicazioni rende fattibile: poter vivere in una dimensione che lambisce quella del proprio quotidiano, concretizzata dal quadro di un computer o dallo schermo di un comune smartphone, fatta di un carezzevole universo emozionale immune alle terrene leggi della fisica e alla precaria condizione umana.

Un’oasi esclusiva dove a nessun altro è concesso accedere, affinché ci si possa fare beffe della triste mietitrice e prolungare gli attimi di vita insieme che sono mancati, per regalarsi più del tempo che il destino ha concesso, per lenire il trauma del distacco netto e definitivo, della perdita irrimediabile.

Per richiudere dolcemente quello squarcio nell’anima, soffocare quel senso di angoscia che attanaglia il petto, contrastare la solitudine in agguato, impedire al demone della depressione l’inesorabile distruttiva avanzata che un lutto ogni volta reca con sé. Per offrire uno spiraglio di luce quando tutto precipita in un’oscurità accecante che rischia di farsi perenne.

Anche se la magia data dalla romantica idea di comunicare con l’incarnazione di un sentimento amoroso fortissimo ed ostinato a non abbandonare la propria dolce metà del cielo, lascia il posto alla dura verità di un ‘trucco’ ingegnosamente architettato da un cuore perdutamente innamorato.

 

Tornatore dirige con sobria eleganza formale una storia d’amore che come l’universo è dominata dal caos, al cui interno sono racchiusi un ordine e infiniti ‘ragionamenti’ che la mente non potrà mai riconoscere, non potrà mai accettare.

Il tocco è lieve, lo sguardo partecipe, ma la mano trattenuta un po’ troppo dal timore di farsi tradire dalle sue sanguigne origini sicule, dalla retorica spesso ridondante di cui veste le emozioni che porta sullo schermo.

Forse, per questo opta per una scena (ed umanità) internazionale, che, secondo il suo punto di vista, sarebbe più moderata nel rapportarsi alla sfera sentimentale rispetto ad un’ambientazione in terra patria (Italia e la natìa Sicilia) che avrebbe richiesto certamente (sempre secondo la sua ottica) maggiore enfasi.

O, forse, più semplicemente, il respiro internazionale che pervade l’opera è funzionale all’idea di evitare di conferire alla storia un’appartenenza geografia fin troppo definita, perché trattasi, in fondo, di un tema universale: una storia d’amore che potrebbe avvenire in qualunque posto del mondo.

Appassionata di sicuro, calda ma non bollente, come ci fa intendere lo scambio di effusioni nella bella scena iniziale.

E così, lo strazio conseguente alla perdita, la corrispondenza d'amorosi sensi che il titolo sottende si trasformano in una casta, prudente e affettuosa pratica assistenzialistica di prammatica, affinché il lutto venga elaborato col più ridotto margine di rischio (come direbbe un qualsiasi impiegato aziendale), affinché arrivi perfino a fornire il giusto input grazie al quale poter sciogliere inestricabili nodi di un passato doloroso mai affrontato (!!).

Ma forse Tornatore intende principalmente insistere non tanto sui contenuti e la qualità delle missive quanto sulla semplice essenziale presenza fisica che viene ineluttabilmente a mancare con la morte, essendo essa evento drastico, definitivo, irreversibile.

Continuare ad esserci, tutto qui, senza alterare (o perlomeno provare a non alterare) il quotidiano di chi resta.

Perché è proprio affrontare il quotidiano l’aspetto più difficile di un lutto.

Il difetto o forse il pregio del film sta nel lasciare al singolo spettatore la scelta di abbandonarsi alla commozione, di empatizzare o meno o non del tutto con la giovane amante mutilata di una parte indispensabile di sé.

Un comun denominatore che vede gli spettatori partire da uno stesso livello emozionale è comunque presente: poter disporre della medesima fortuna della nostra protagonista non è per niente cosa da poco.

Tutti vorremmo che il distacco da chi abbiamo amato in vita fosse il meno doloroso possibile.

Tutti vorremmo essere accompagnati/sostenuti lungo il nostro cammino in terra da chi non avremmo mai volto ci abbandonasse. Finché ce ne fosse bisogno, finché non saremmo forti il necessario per ritornare a stare in piedi da soli.

E a guardarci nuovamente intorno.

La corrispondenza, nonostante un po’ si sfilacci per strada, nonostante il suo gioco delle parti sia troppo insistito e portato per le lunghe, è da apprezzare principalmente perché si fa coraggiosa espressione di un desiderio totalmente, profondamente umano che fa a botte con tutta la grigia mole di razionalità che sovrasta e soffoca le nostre esistenze.

Di quella solitudine accettata come imperativa condizione del nostro stare al mondo.

 

 

 

 

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