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La corrispondenza

Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film

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La recensione su La corrispondenza

di EightAndHalf
1 stelle

Cosa dire dell'ultimo film di Tornatore se non, ad ogni istante in cui scorre sullo schermo, 'cosa diamine sto guardando?'?

 

Olga Kurylenko

La corrispondenza (2016): Olga Kurylenko

 

Più manifestamente ridicolo de La migliore offerta, e con lo stesso piglio lacrimevole e furbetto che è sempre stato proprio del suo regista, La corrispondenza è una evidente presa in giro allo spettatore, non nel senso che amerebbero affermare i sostenitori, ma in quello negativo e più infelice. Un film caratterizzato da una sciatteria e da una imprecisione inaudite, figlie di un'assoluta assenza di creatività formale/tematica/contenutistica che dir si voglia e di un'imprecisata voglia di colpire/commuovere lo spettatore con una sola idea per quasi due ore. Apparte l'intero baraccone di 'modernità' che circonda questa corrispondenza missiva fra la vita e la morte, che pare di stare vagando tra i corridoi di un negozio di elettronica (Samsung, Apple, Fujitsu, Sony e chi più ne ha più ne metta), a colpire è questa involontaria capacità di Tornatore di guardarsi allo specchio nell'assurdo grottesco di questo suo film, che di certo tecnicamente è il punto più basso raggiunto in tutta la sua carriera. L'idea del collegamento via video (ah, sì, c'è anche Skype) è incarnazione stessa del virulento meccanismo emozionale di tutto il cinema del regista siciliano: il faccione di Jeremy Irons diventa emblema del nostalgico puro, di ciò che si svuota di qualsiasi funzione se non quella della facile tristezza indotta. Il volto della Kurylenko diventa dunque la materia violentata dall'(inesistente) sguardo di Tornatore: una faccia in lacrime. E' in questo scambio che forse si cerca empatia, ma il risultato è un altro.

 

Jeremy Irons, Olga Kurylenko

La corrispondenza (2016): Jeremy Irons, Olga Kurylenko

 

Infatti, in tutti i film di Tornatore, soprattutto nelle sue produzioni straniere, non sussiste la fondamentale sospensione dell'incredulità, poiché la finzione e la faciloneria (che alcuni oserebbero chiamare maniera) esplodono in una mise en scène imbarazzante e imbarazzata. Tornatore dimezza le possibilità attoriali dei suoi giganti recitativi e li abbassa a personaggi inverosimili, prestampati, con psicologie che neanche alle elementari. Caso più interessante, proprio la Amy de La corrispondenza, che fa la stunt-woman per confermare un suo inconscio desiderio di morte dovuto a un trauma passato. Fondamentalmente nient'altro succede nella testa di quella donna. Solo gemiti e lamenti, sguardi spenti e drammatici, fintamente rivolti al cielo per cercare di colmare la sua perdita. Il dispositivo digitale-visuale che le permette di riproporre in loop le sue emozioni diventa quasi una droga di cui non può fare a meno, ed è all'interno di questa dipendenza che Tornatore vorrebbe farci addentrare, senza ricordarsi che avendo mal dissimulato il suo meccanismo noi rimaniamo fuori a chiederci se davvero pensa che siamo tanto ingenui o addirittura stupidi. Tanto che quel riversare in immagini la propria così poco profonda interiorità diventa più uno sfogo feticistico, un'ossessione, una mania, che un'espressione di amore.

 

Olga Kurylenko

La corrispondenza (2016): Olga Kurylenko

 

E' proprio questo che lascia perplessi di fronte a La corrispondenza, quest'idea che una vera e propria malattia, o smania di onnipotenza (in questo caso, di Ed, interpretato da Irons) possa essere qualcosa di romantico. Tornatore non sa cosa vuol dire amour fou, e non ha idea di quanto possa essere difficile e insidioso come perturbazione emozionale (o di come lo è stato in altri illustri casi nella storia del Cinema): dunque questo malsano rapporto che racconta non è volutamente così viscido e inquietante, ma lo è involontariamente. Tanto che l'unico personaggio potenzialmente antipatico del film, il dottore di lui, che si dichiara contrario al piano di Ed per restare in contatto con Amy, è l'unico a dire la cosa giusta e corretta: Ed è un folle maniaco. Ma questo neanche Tornatore lo sa.

 

 

A livello di personaggi potremmo non finire mai, dalla paesana di Borgoventoso che si presta senza problemi ai giochetti di Ed, fino al tecnico multimediale invaghito di Amy che ha addirittura contatti con i servizi segreti (sic), per non parlare poi della figlia di Ed che diventa perversamente amica di Amy (perché entrata in quel circuito emozionale che tutto assorbe come un buco nero, e si dimentica della verosimiglianza). La follia di Ed diventa così la pretesa sentimentaloide di Tornatore: nonostante sia un film, dovremmo comunque emozionarci anche noi, fino alla follia. Ma anche volendo entrare in questo perverso gioco (ricordiamoci, involontario, e per questo per nulla costruttivo, ma anzi letale), si guardi al semplice comparto tecnico. Esteticamente Tornatore non ha nulla da dire, le immagini del suo film sono tutte uguali, piatte, manco patinate, cinematograficamente nulle. Cerca solo a volte di compiere alcuni virtuosismi, 'sfondando' idealmente le pareti e allargando gli spazi (il corridoio della sequenza dei titoli di testa, col movimento di mdp che oltrepassa il limite fisico della parete per inquadrare frontalmente la porta di Amy), ma si tradisce subito. Si pensi alla sequenza della prima conversazione in un locale fra Amy e la figlia di Ed. Le due sono sedute l'una di fronte all'altra, molto vicine, ma durante il dialogo il montaggio predilige il classico inerte campo/controcampo per cercare, nell'economia dell'immagine, di penetrare nei sentimenti dei personaggi tramite le espressioni dei volti presi in primo piano. Ma siamo così distanti emotivamente che non possiamo non notare che nei singoli campi/controcampi la superficie del tavolo termina a breve distanza dalle mani dell'una e dell'altra attrice, come se davanti a lei ci fosse il vuoto, mentre ad un campo lungo sulle due che parlano sembra invece che questo 'vuoto' non ci sia affatto. Questo è un semplice esempio, per lasciare intuire l'assoluta trascuratezza della realizzazione e l'assoluta incapacità di creare narrazione, fuga e illusione, pretesa che Tornatore ha sempre ricercato, e ha sempre disatteso. Lo spettatore rimane indiscutibilmente 'fuori'.

 

Jeremy Irons

La corrispondenza (2016): Jeremy Irons

 

Quello che si chiede in La corrispondenza, così come in altri mediocri film di Tornatore, è di sospendere a forza l'incredulità e accettare tutto incondizionatamente. Sta ad ognuno decidere se il gioco vale la candela: la pochezza in tutti i sensi della Corrispondenza è l'ennesima dimostrazione che Giuseppe Tornatore è uno dei più importanti fraintendimenti dell'ultimo cinema, un grande infimo falso autore. 

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