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Fuocoammare

Regia di Gianfranco Rosi vedi scheda film

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La recensione su Fuocoammare

di alan smithee
6 stelle

Il mare che protegge e preserva chi vive da generazioni a Lampedusa, e semina morte tra chi vi sopraggiunge e la considera come un primo approdo per una nuova vita di speranza e benessere. La tragedia dei migranti vista dietro lo sguardo intenso e binario di un eccellente documentarista che sa indubbiamente cogliere l'attimo.

FESTIVAL DI BERLINO 2016 - CONCORSO - ORSO D'ORO PER IL MIGLIOR FILM

Gianfranco Rosi, ovvero l'importanza di avere il film giusto al momento giusto.

Se il momento di Sacro Gra era stato giusto e puntuale per far finalmente risaltare alla cronaca, fino a far vincere un festival internazionale, un film non di fiction (ammesso che Sacro Gra possa essere in tutto e per tutto considerato tale), Fuocoammare si addentra nel momento più drammaticamente opportuno verso il fulcro geografico di una delle tragedie più devastanti degli ultimi decenni: l'esodo della popolazione di un continente intero verso un'altro, nella speranza (quasi sempre vana) di trovare una terra promessa che da tempo non può davvero più essere.

Ecco allora che l'attento e giustamente scaltro documentarista si trasferisce per un lungo periodo nell'isola simbolo più di ogni altra delle sciagure che accorrono sui barconi della speranza: Lampedusa, macchia mediterranea di soli 20 km quadrati, piccolo scoglio fisicamente in terra africana, ma politicamente di diritto italiano, con popolazione italiana e quindi porta e baluardo di una Europa che da tempo non ce la fa più ad accogliere e dare una possibilità di vita degne e dignitose ad un flusso di migrazione che non ha precedenti.

Il regista segue senza enfasi alcuna, ma solo con intenti di pura documentazione, gliene diamo atto a pieno diritto, le drammatiche fasi degli avvistamenti, la messa in funzione dei soccorsi: la cinepresa si focalizza sui volti stravolti dei fortunati che riescono a toccare terra, mentre la vita nell'isola scorre nella sua consueta intimità ed abitudinarietà, certo scossa dalle terribili conseguenze che spesso accompagnano ogni nuovo afflusso di povertà, ma pur sempre protesa ad andare avanti con i ritmi sospesi di una comunità slegata più di altre ai ritmi ed ai condizionamenti di una vita "da continente".

La visuale del regista spazia dai territori marini della tragedia e si sofferma talvolta in contesti apparentemente più slegati a quel mare che circonda e condiziona quell'isolato presepe vivente che abita la piccola isola: si concentra sulle faccende domestiche di una anziana abitante del posto, ed ancor più sulla vitalità esuberante del piccolo Samuele, cacciatore d'istinto e di passione, che trascorre nei suoi giochi spesso solitari alla ricerca di nuove specie di uccelli migratori e di ogni altra specie vivente.

La vena qui esclusivamente documentaristica, che limita il dialogo ad un parlato decisamente più spontaneo e naturale rispetto alle situazioni spesso per nulla convincenti se  non addirittura forzate di Sacro Gra, giova al documentario che rimane tale e non sconfina in fiction mascherate o rinnegate.

Il risultato finale dà l'impressione di una certa discontinuità, o forse non si capisce bene dove il regista voglia andare a parare col raffronto tra esperienze di vita locale e cronaca di un tragico esodo della speranza.

Ma indubbiamente l'argomento è forte, drammatico quasi più di ogni altro (non fosse per il numero, di fatto imprecisato, ma certamente sconvolgente, di vittime rimaste inabissate lungo quel vasto tratto marino che separa i due continenti); materia di stretta attualità, che non poteva non essere al centro della massima considerazione da parte della giuria all'ultima berlinale.

E tra chi non ci sta e si lamenta al verdetto della giuria, adducendo che i premi dovrebbero esulare dalla più o meno spiccata attualità dell'argomento che sottostà al prodotto finito da giudicare, e chi invece esulta per il nuovo successo italiano dopo il non lontano e forse inaspettato riconoscimento berlinese ai Taviani solo pochi anni fa, o per un autore per troppo tempo solo di nicchia, ormai ufficializzato da due premi di levatura eccezionale come lo sono il riconoscimento veneziano e questo dei giorni scorsi, alla fine probabilmente la verità sta, ancora una volta, in mezzo ai due estremi: e Fuocoammare si qualifica come un valido documentario incentrato su una immane tragedia contemporanea tutt'ora di difficile se non impossibile risoluzione, diviso in modo forse poco efficace tra la lucidità devastante di una tragedia in atto, e la vitalità necessaria, a tratti quasi incosciente, di chi vive nel solco di una tradizione e di una storia che si protrae dagli inizi dell'umanità, schermata e protetta da una barriera naturale che per altri invece è la causa finale di una tragedia annunciata.

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