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Veronica Voss

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su Veronica Voss

di kotrab
8 stelle

Die Sehnsucht der Veronika Voss (Il rimpianto di V. V.) è il penultimo film di R. W. Fassbinder ma anche l'ultimo capitolo del suo personale viaggio nella memoria della Germania, nella sua Storia attraverso vari ritratti femminili (vedi Il matrimonio di Maria Braun, Lili Marleen, Lola). Torna dopo anni al bianco e nero, qui dai forti chiaroscuri curati ed esaltati dall'abilità eccezionale di Xaver Schwarzenberger, e tale mezzo lo aiuta a tenere unite le varie tematiche confluite e derivate da altri film del regista: i rapporti di potere in ogni relazione umana, la meschinità del sistema sociale (o dei sistemi), la memoria individuale e collettiva, l'espressione artistica del cinema.
La vicenda è ispirata alla figura dell'attrice Sybille Schmitz, stella del Terzo Reich morta suicida nel 1955. Veronika Voss (R. Zech) è anche legata a Lili Marleen, ma più tragica seppur debole psicologicamente, soggiogata dalla dipendenza alla morfina e dalla ragnatela in cui l'ha avvolta la dottoressa Katz (Annemarie Duringer), donna carnefice, un altro avvoltoio delle istituzioni ma più subdolo e cinico rispetto allo Schuckert di Lola, quasi fosse una specie di eredità anch'essa del regime hitleriano. Veronika è appunto vittima, una stella decaduta nell'oblio, dimenticata quasi del tutto dall'industria dello spettacolo e sfruttata ancora nella situazione in cui ha bisogno d'aiuto; è un fantasma del passato, letteralmente reso così dall'immagine, una figura sbiancata dalle luci corrosive e perforanti di una fotografia (esplicitazione concreta del "viaggio nella luce" più di quanto non fosse Despair, lì "solo" immaginato) che quasi appiattisce del tutto anche gli interni dello studio medico, dove i punti di riferimento sono labili come la mente e i nervi dei pazienti; un fantasma che trova appigli solo rapportandosi con la figura amichevole del giornalista (H. Thate), l'unico in buona fede ma che è votato al fallimento e all'impotenza, ingannato e uscito da quest'avventura ancor peggio di prima.
E' una specie di Viale del tramonto ancor più disilluso (inevitabile la reminiscenza), mentre deriva da Lola una sorta di rappresentazione espressionistica, che là era resa nel colore straniante, qua rimanda all'Espressionismo cinematografico che deforma non i lineamenti delle cose, ma la loro atmosfera; ancora guardando al passato si può ricollegare Veronika Voss lontanamente alla meditazione metacinematografica di Attenzione alla puttana santa, di cui forse si capisce meglio il paradosso, l'amore e la critica per il meccanismo del cinema, un microcosmo che si illude di essere fabbrica di sogni, eppure è appunto una riproduzione in scala ridotta del mondo (non dimentichiamo che tornano di nuovo specchi e vetrate, che da una parte sono quantitativamente meno numerosi rispetto ad altri film, dall'altra sono come tasselli di un mosaico, il film come unico grande specchio abbagliante e annichilente). Guardando al futuro, col senno di poi non si può non pensare alla morte di Fassbinder causata da droghe e barbiturici (a dire il vero però, già era successo con Il diritto del più forte, ancor più desolatamente, se possibile). 
Stranamente Fassbinder si affida qui non ai suoi soliti attori fedeli, fatta eccezione per alcuni ruoli minori, forse però proprio per risaltare un illusorio collegamento col cinema anteguerra (come nella grafica e nella struttura dei titoli di testa). 8

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