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Regia di Rob Zombie vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su 31

di alan smithee
4 stelle

Una banda di eccentrici artisti da strada yanchee viene braccata e sottoposta a tortura sadica da parte di una perversa coppia forte dei suoi clown assassini. Horror superficiale che pensa ai contorni dimenticando di definire i personaggi.

"The show must go on" campeggia sopra i fanali, tra la superficie mezza arrugginita e mezza insanguinata dello sguarrupato furgone che garantisce gli spostamenti ad un eccentrico gruppo di attori/teatranti impegnati in una tournée lungo le sconfinate, desolate periferie "countries" americane di un Far West ormai un pò demodé, ma mai realmente fuori luogo.

Arrivati ad un tratto di strada isolato, verso l'imbrunire, l'allegra e svalvolata brigata è costretta a fermarsi, poco dopo aver sostato ad un'area di rifornimento, bloccata da una serie di tetri spaventapasseri maldestramenti disposti in mezzo alla strada.

Scesi per spostarli, alcuni membri del gruppo vengono selvaggiamente attaccati da esseri ignoti e il resto della banda immobilizzato: i superstiti si ritroveranno tramortiti entro un locale a metà strada tra un santuario barocco ed un deposito abbandonato, in balia di una perversa coppia di anziani agghindati come due regnanti europei del diciassettesimo secolo (lui è Malcolm McDowell, un habitué di Zombie); costoro sottopongono la compagnia ad un sadico gioco al massacro chiamato "31": in quindici ore i membri della compagnia teatrale dovranno cercare di uscire vivi da una trappola che vede una serie di pagliacci assassini agghindati con evidenti sinistre svastiche, a capo di giochi sadici e crudeli volti a sterminare nel modo più cruento ogni partecipante.

Chi conosce, e sono in tanti, almeno un pò la filmografia, pressoché monotematica - ma questo non costituisce certo una colpa od una limitazione - di Rob Zombie, probabilmente potrà intuire già da subito chi è tra il gruppo, il soggetto che avrà più opportunità di sopravvivere allo sterminio annunciato e messo puntualmente in atto.

Zombie si impegna a ricostruire scenografie ridondanti ampiamente variegate di particolari, ma si dimentica completamente di dare un minimo di profondità, o anche solo di identità caratteriale, ad ogni tipo di personaggio coinvolto, limitandosi a creare solo diversi gradi di grevità e detestabilità di ogni soggetto interveniente: ne deriva un prodotto di genere inevitabilmente superficiale e manierato, molto fine a se stesso, ricattato da un incastro e da un gioco perverso e folle nemmeno molto chiaramente delineato, e in una corsa vana alla sopravvivenza che fornisce spunti e soluzioni già straviste.

Nè può soprendere la stravaganza dei personaggi sopra le righe coinvolti, dato che nulla di veramente interessante ci viene riferito a proposito di ognuno di essi: tutto si mantiene in superficie, per assecondare la maniera e smarcare quelle superficiali regole comuni minime che definiscono (ma pure limitano) i sentieri dell'orrore.

Di pagliacci della paura ne abbiamo visti sin troppi, ad oggi, anche se il ghigno bavoso e perverso del principale tra quelli che intervengono qui nel gioco, visivamente non è male e sarebbe rimasto nella memoria, se fosse stato coordinato da una maggiore coerenza ed originalità narrativa.

Tra l'altro Zombie gira ricorrendo ad artifici che stupiscono in un primo momento, ma lasciano presto perplessi: nelle scene d'azione viene proposta la premessa dell'agire e la sua immediata conseguenza, come fosse un salto immagine che ci porta subito al risultato dell'azione; nel cambiare scenario il regista adotta talvolta una sorta di fermo immagine con una triangolazione di sequenze come si trattasse di diapositive.

Tutti piccoli vezzi stuzzicanti ma poco efficaci a rendere fluido il racconto, anzi atti, specie nel primo caso, a rendere confusa ed imprecisa la dinamica dell'azione.

Rimangono, a salvaguardia del peggio, alcune altre cose: lei, Sheri Moon Zombie, bellissima, ancora più del solito con quella massa di capelli alla Shirley Temple in versione volgare e sguaiata; Meg Foster, occhi da cerbiatto intatti come negli '80 e fisico affusolato e muscoloso da Sarah Connors matura, su viso incartapecorito dalle primavere occorse, grande interprete di action ed horror usa e getta; ed un finale vis-à-vis tra il clown maligno e bavoso e Shery Moon: una sfida che si consuma al ritmo incalzante della bellissima Dream On di Steve Tyler.

E' già qualcosa, ma non basta, specie se parliamo di un autore di genere collaudato e spesso forte di uno stile personale spiccato come Zombie.

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