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King Arthur: Il potere della spada

Regia di Guy Ritchie vedi scheda film

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La recensione su King Arthur: Il potere della spada

di will kane
4 stelle

Da non confondersi con "King Arthur", uscito nel 2004, diretto da Antoine Fuqua, in cui Re Artù aveva le fattezze di Clive Owen, questo kolossal affidato a Guy Ritchie narra l'origine della Tavola Rotonda inquadrando la sorte del giovane Artù fin dalla tragica infanzia, in cui scampa alla morte, per mano dello zio usurpatore Vortigern, e viene allevato in un bordello, imparando a destreggiarsi tra risse di strada e ladrocinii, finchè non viene il giorno in cui strapperà dalla roccia la leggendaria spada Excalibur, obbligandosi a intraprendere il cammino che lo porterà sul trono. Da "I cavalieri della Tavola Rotonda" di Richard Thorpe del 1954, via "Excalibur" di John Boorman, a oggi, la saga del re d'Inghilterra più celebrato dalle leggende ha avuto diverse chiavi di lettura e rimpasti sulla base conosciuta: qui, ad esempio, non c'è cenno alcuno di Lancillotto, nell'assemblamento di cavalieri della futura Tavola ci sono sia neri che asiatici ( non probabilissimo, anche se in tempi di politicamente corretto, leggi anche strizzata d'occhio a varie fasce di pubblico, that's Hollywood!), la questione della spada nella roccia ha una spiegazione inedita, e al futuro regnante si attribuisce una giovinezza da malandrino. Ritchie, che ha svolto un'analoga operazione di rilettura pop circa Sherlock Holmes, qua sembra molto meno a proprio agio che con il detective creato da Conan Doyle: scopiazza atmosfere da "Il signore degli anelli", con tanto di panoramica con rocche assediate da moltitudini di soldati, abbozza un contesto da fiaba horror per il cattivo Vortigern, che deve compiere sacrifici costosi per ingraziarsi mostruose sirene-piovre che gli garantiscono fortune e Potere, e commette l'errore piuttosto marcato, di far seguire ad una prima parte sostanzialmente divertente e personale ( si veda il resoconto fatto di pause e di passi indietro, ironico come riesce bene al regista di "Lock & Stock") una seconda in cui si prende troppo sul serio, e imbastisce scene d'azione confuse, duelli in cui si capisce pochissimo di ciò che succede, e, tanto per dire, ad un certo punto commette un errore di grammatica cinematografica inverosimile ( c'è uno zoom all'indietro accennato, in una scena notturna, che poi diventa uno zoom accelerato in avanti, roba da principianti con la cinepresa in mano). Del cast, al fin troppo gagliardo Hunnam nei panni di Artù, viene da preferire l'aristocratica malvagità di Jude Law re infame. Pare che questo dovesse essere il primo di sei film di una serie sui cavalieri della Tavola Rotonda: sarà. Ma lo slittamento dell'uscita dalla scorsa Estate a questa tarda Primavera, per perfezionare delle scene, non pare un segnale molto incoraggiante...

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