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The Lady in the Van

Regia di Nicholas Hytner vedi scheda film

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La recensione su The Lady in the Van

di supadany
7 stelle

TFF 33 Festa mobile

Commedia sofisticata tipicamente british con due punti di forza sulla carta che piacevolmente si trasformano in realtà; infatti, mentre in primo piano Maggie Smith (ci/si) regala un personaggio a tutto tondo, alle spalle il lavoro di scrittura realizzato dal commediografo Alan Bennett è particolarmente ricco, agendo su più livelli narrativi chiamati ad intersecarsi.

D’altronde questa storia la conosce benissimo da tempo tempo.

La signora Shepherd (Maggie Smith) vive da tempo all’interno di un furgone col quale si posiziona permanentemente  in un viale signorile di Londra.

In poco tempo avrà da ridire con i suoi nuovi “vicini”, ma riuscirà anche a farsi ospitare, teoricamente temporaneamente, col suo furgone nel vialetto di Alan Bennett (Alex Jennings).

Tra un’incomprensione e l’altra, tra i due nascerà un rapporto destinato a durare a lungo e a cambiare pelle.

 

Maggie Smith, Alex Jennings

The Lady in the Van (2015): Maggie Smith, Alex Jennings

 

Quello di Nicholas Hytner è un altro gradito, anche a sorpresa, ritorno dopo nove anni di inattività (l’apprezzato “The history boys”, 2006), certo il compito gli è stato facilitato dalle grandi qualità citate in apertura, ma poi trovare il ritmo giusto non è sempre automatico.

Chiaro che la Miss Shepherd scritta sulla carta e portata in vita da Maggie Smith è, soprattutto nella prima metà, fonte quanto mai generosa di battute, tra diverbi e modi di fare quanto meno discutibili e poi c’è un rapporto diretto con l’autore che si trasforma coprendo quelle che sono le emozioni principali (riso, cuore e cervello).

Sempre dalla fonte arrivano poi delle vere e proprie finezze di scrittura (in punta di penna), con il doppio Alan Bennett, con lo scrittore e l’attore/uomo (reale) che dialogano in scena e poi i rimandi alla figura della madre, la vecchiaia che avanza, il cuore che si apre portando a toccare le note più delicate.

Forse solo sul finale c’è qualche (evitabile) uscita dal seminato, anche un tocco di aldilà un po’ capestro, che si nota tanto di più visto che il resto a livello descrittivo ha una solidità evidente.

Dunque, si parla di una commedia in grado di lasciare il segno, con un’imprescindibile Maggie Smith (una verve scorbutica irrefrenabile, ogni tic ed espressione pare cascare a fagiolo), che prenota una candidatura agli Oscar, ed una gestione generale del racconto calibrata e che non si accontenta dei soliti intrecci.

Apprezzabile.

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