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Creed - Nato per combattere

Regia di Ryan Coogler vedi scheda film

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La recensione su Creed - Nato per combattere

di amandagriss
8 stelle

 

“un passo, un pugno, una ripresa”

 

E la storia si ripete…

Creed (o se vogliamo tenere il conto Rocky VII) -ideato, scritto e diretto con polso fermo e mano agile- dal promettente Ryan Coogler, nel tracciare un nuovo capitolo della leggendaria saga con protagonista lo stallone italiano, che ha appassionato più di una generazione di pubblico e che ancora oggi conta una folta entusiasta schiera di giovani estimatori (in sala tanti i ragazzini), riesce intelligentemente a creare uno stabile equilibrio tra vecchio e nuovo, tra il passato consolidato e il presente ancora da scrivere.

Immettendo nel racconto ben congegnato, dalla trama fitta e dalla solida consistenza, elementi nuovi, in linea con l’evoluzione della boxe negli ultimi anni (la presenza di donne nelle sudice palestre di quartiere per esempio) ed altri fattori di contorno che riflettono limpidamente la nostra contemporaneità, come il commento musicale quasi totalmente affidato al cadenzato rap, internet wireless, piccoli club dove si sperimenta musica alternativa, acconciature afro definitivamente chiuse in un cassetto a doppia mandata, macroscopici tatuaggi artistici che dal nudo torace s’inerpicano fino al collo, larghi calzoncini da combattimento diversi nel materiale e nella lunghezza non più inguinale, leggeri giubbotti smanicati, pendant coi calzoncini, provvisti di cappuccio invece delle larghe pesanti, un po’ pacchiane, vestaglie indossate dalle antiche glorie del settore giusto il tempo di arrivare dagli spogliatoi al ring. E ancora, incazzosi approcci tra maschio e femmina, assai diversi dalla goffa tenerezza di due timidi giovani innamorati nei lontani (favolosi?) anni’70.

E mentre il film fa strada al nuovo si riallaccia senza sbavature, senza attriti, senza forzature, al passato prossimo e remoto della nostra vecchia roccia, oramai dedita esclusivamente al piccolo ristorante messo su nella natìa Filadelfia (lo stesso che abbiamo visto in Rocky Balboa), oramai soltanto uomo e non più mito, in età avanzata, imbolsito e acciaccato, privato dei suoi affetti più cari, solitario, che si è lasciato definitivamente alle spalle una gloriosa carriera per la quale, tuttavia, ancora è ricordato e riconosciuto per strada, anche dalle generazioni più giovani.

 

Creed è un’operazione che ha dalla sua l’alto potenziale di divenire il seguito ideale di Rocky.

È un passaggio di testimone, è l’intenzione di rispolverare non solo il genere della boxe, che conta titoli assolutamente memorabili, ma di rinverdire la leggenda, proporre un nuovo ennesimo eroe che il pubblico possa seguire ed amare incondizionatamente come è accaduto col ragazzone Rocky e, magari, insieme al personaggio, affezionarsi all’attore che lo interpreta. L’impressione (dopo l’ultimo capitolo de I Mercenari) è che il nostro beniamino Sylvester Stallone continui a lavorare affinché la settima arte possa realizzare, come ha fatto in passato, questo straordinario miracolo, sfornando ancora (a dispetto della disumanizzazione dei ruoli di certo cinema mainstream) umanissimi personaggi in cui la gente potrà continuare a ritrovarsi, a considerare amici.

Creed è un’opera genuina, robusta, sorprendentemente articolata per quanto ricalchi i cliché narrativi dei capitoli di Rocky. Appassiona, diverte e sa pure commuovere grazie alla sensibile performance di uno Sly Stallone totalmente calato nella parte, defilato eppure centrale, capace di sfumature emotive da stringere il cuore più di una volta.

Creed ci fa riprovare l’ebbrezza del ring, ci conferma quanto il combattimento coi guantoni, sotto i riflettori, in diretta tv, non sia altro che la rappresentazione della lotta quotidiana per la sopravvivenza.

Caricarsi di tutto il dolore provato e convogliarlo in quel destro che fa la differenza, decretando la vittoria o solamente facendo tremare i polsi all’impavido (gradasso) avversario.

L’importante è finire in piedi il match (ancora una volta) e dimostrare che sotto la futile apparenza, dietro un nome ingombrante, che risuona quasi come una condanna, si cela prodigiosa sostanza.

Non più il sogno americano da agguantare, piuttosto la lotta contro i propri demoni per riuscire una volta per tutte a sconfiggerli.

Ben condotte le riprese dell’incontro finale, che i pochi ma efficaci ralenti enfatizzano senza mai sovraccaricare l’azione e renderla artificiosa, lasciandola, invece, sempre naturale, fluida, serrata.

Fascinosi attimi visionari s’insinuano nelle pieghe del concitato incontro-scontro congelando il respiro di noi che assistiamo col battito del cuore accelerato.

E chi sostiene il contrario sta spudoratamente mentendo.

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