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Velluto blu

Regia di David Lynch vedi scheda film

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La recensione su Velluto blu

di ROTOTOM
8 stelle

Lo fàmo strano? Rivedere Blue Velvet 20 anni dopo, dopo Mulholland Drive, dopo Strade Perdute, dopo Cuore selvaggio. Dopo Inland Empire. E scoprire che nulla è a caso, che è tutto un percorso, che le strade perdute sono quelle della mente umana, sono quelle che si sovrappongono, che si ritrovano diverse, che non conducono da nessuna parte e dappertutto. E’ la fiamma che si spegne o il fuoco che esplode, una sigaretta che brucia in un solo tiro. Dopo tanto tempo tuffarsi negli appartamenti di Deep River dove affondano tutte le pulsioni più profonde, notturne quando il sole si dimentica dei giardini fioriti, degli steccati verniciati di fresco, quando il sole tramonta senza aver fatto marcire del tutto un orecchio buttato tra i rovi. Un pezzo di carne colpevole per la capacità intrinseca di sentire, di catalogare gli eventi, i suoni e trasformarli in ricordi, prove e sentimenti. L’orecchio sa e viene tagliato, non a caso la torbida storia di sesso e perversioni che incrostano il lato nascosto del patinato e innocente quadro di vita provinciale inizia con la telecamera che penetra letteralmente nel padiglione auricolare orfano di corpo, una parte per il tutto pornografica che ricorda per prima cosa una canzone, Blue Velvet che dà il titolo al film. La contrapposizione dei due mondi è cromaticamente connotata dal velluto blu della vestaglia di Isabella Rossellini che si lascia mortificare da un Dennis Hopper più malato che mai, che la chiama mammina e la guarda divaricare le gambe, dagli ambienti claustrofobici in cui la perversione si scatena, soffocati da colori scuri e soffici, ovattati contro una messa in scena quasi da fiction, col senno di poi, delle scene di vita "normale" dai colori chiari, semplici la luce patinata e rassicurante e calda. Nella cameretta tutta fiocchi e trine dell'ingenua ragazza che si accosta al mondo delle tenebre con il suo nuovo amico, il blu non esiste come fosse un colore sconosciuto. Blu del profondo inconscio, dell’affogare dentro se stessi e risorgere, blu del liquido amniotico linfa vitale della rinascita. Frank vorrebbe tornarci fisicamente nel grembo materno e si riempie la bocca di un lembo di tessuto, tenero vellutato, blu, liquido e quando sprofonda dentro la sua vittima, una Rossellini stupendamente feticcio umano, tutta la violenza repressa viene sfogata accendendo per contro la fiammata della passione di lei. Acqua e fuoco che si compenetrano esattamente come sono compenetrati l’uno nell’altra gli opposti della facciata urbana della provincia americana e il marcio che questo quadretto nasconde. Laura Dern e Kyle Mc Lachlan sono specchio di questa società, bravi ragazzi che ambiscono al torbido, ansiosi di sprofondare anch’essi dentro loro stessi e si mettono ad indagare in un mondo notturno che non è il loro e del quale rischiano di rimanere vittime. Poi tutto si risolve in un apparente, rassicurante buon finale quando la telecamera esce, come era entrata nell’orecchio mozzato, dall’orecchio di Jeffry/Mclachlan. Ora lui sa, tutta la storia è nella sua mente, nel suo essere, è sprofondato nel blu delle sue pulsioni ed è riemerso lasciando sul campo però la propria purezza, la propria verginità emotiva avendo sondato fisicamente, in un contatto ravvicinato con l’ambigua cantante schiava delle perversioni, l’abisso delle emozioni perdendo definitivamente ogni innocenza.

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