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Uno più una

Regia di Claude Lelouch vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Uno più una

di alan smithee
4 stelle

Un percorso indiano che libera il protagonista di quell'individualismo esasperato proprio dell'uomo arrivato, quello "che non deve chiedere": Lelouch scherza col fuoco e ci rimette le penne.

L’incorreggibile Claude Lelouch: la gran vecchia volpe del cinema d’oltralpe non perde, a ottantadue anni suonati, né il pelo né tantomeno il vizio: dunque non rinuncia al ritornello un po’ fazioso dei suoi titoli-cantilena, né alle sue storie sentimentali impossibili e talvolta, se non spesso, in odore di faziosità. Solo che altrove, quasi sempre, il regista ha saputo farsi forza con un colpo d’ali di scrittura per salvarsi, spesso oltre il tempo limite, dal tracollo più inevitabile, con alchimie narrative anche ardite, ma in grado di salvare dalla zona più pedestremente “soap”, le sue vicissitudini amorose contrastate dal destino avverso e dai casi della vita.

Questa volta tocca ad Antoine (Jean Dujardin, profilo indolente che probabilmente è più un aspetto caratteriale che una qualità artistica) condurre il filo del discorso narrativo: un musicista francese specializzato in colonne sonore, uomo di successo premiato altresì con l’Oscar, ora alle prese con le musiche di un particolare adattamento shakespeariano intitolato Juliette et Romeo, a cura di un celebrato regista indiano di una supposta “nouvelle vague” di quel paese. Ma anche uomo di mondo, che vive la vita godendosi i frutti e le possibilità che il suo aspetto gradevole gli consente: un fiume di donne nell’album dei propri amori, ma nessuna con cui condividere un percorso esistenziale duraturo. E quando l’ultima compagna, giovane quanto potrebbe essere una sua figlia, gli chiede di sposarlo, lui tergiversa e trova un motivo in più per rifugiarsi in India a costruire ed adattare le musiche per il suo ultimo film.

Accolto con cortese diffidenza dall’ambasciatore francese un Mumbai (un Christophe Lambert imbalsamato nei tratti, come nel timbro vocale), l’uomo si invaghirà della moglie di lui, (una sofisticata ed inquieta, anche troppo, Elsa Zylberstein) con la quale l’uomo, afflitto da insistenti emicranie che gli impediscono di riprendere l’aereo per tornare in patria, intraprenderà un viaggio curativo che altro non è se non un percorso spirituale che culmina con l’incontro con una nota celebratrice del culto della pace e della serenità tanto care alla cultura e alla religione indiana.

Un viaggio che aizzerà le gelosie di entrambi i coniugi dei due, mettendo fine ad equilibri precari e riportando ognuno libero per la sua strada.

Lelouch ripercorre con un certo stile narrativo, questo non si può certo negare al celebre regista francese, un percorso anche complesso in cui si intrecciano, con una certa consueta disinvoltura, ma con meno forza dirompente di molte altre occasioni del passato, la trama del film indiano in bianco e nero Juliette et Romeo, trasposizione neorealista trasferita all’attualità della Mumbai odierna, e le vicende passionali del nostro ironico e rilassato musicista.

Dujardin nei panni del noto musico, è probabile e credibile quasi come se gli fosse stato affibbiato il ruolo della santona guaritrice presso le acque del Gange, e le storie intrecciate di amori o sentimenti di attrazione che coinvolgono i due pseudo-amanti fedifraghi, sono posticce e noiose nelle due lunghe ore di narrazione tanto da risultare spossanti e di difficile assorbimento, condite dal dolciastro sapore di un’atmosfera indiana molto da cartolina, estrosa certo, ma poco avvezza a soffermarsi sul vero intimo significato di usi e costumi che restano più che altro uno sbiadito inutile apparato scenografico.

Il noto attore francese cerca in tutti i modi di stemperare i toni con lo stile scanzonato ed ironico che spesso lo vede protagonista vincente dei suoi film-commedia più riusciti, ma la zuccherosa cornice indiana del film risulta come un masso troppo pesante per tenere a galla tutta una accozzaglia di situazioni e personaggi al limite della farsa, che vengono inesorabilmente inghiottiti tra i flutti tortuosi e tra i mulinelli vorticosi di un giro sentimentale artificioso e stucchevole, oltre che tremendamente improbabile.

Nel ruolo del padre italiano ed anziano del protagonista, conosciuto solo di recente dall'uomo, troviamo il nostro Venantino Venantini, nei panni di un anziano attore che sfiorò la notorietà in gioventù, ormai ridotto a cantare nei locali chiedendo l'elemosina.

  

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