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Non essere cattivo

Regia di Claudio Caligari vedi scheda film

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La recensione su Non essere cattivo

di laulilla
8 stelle

Bel film, girato grazie alla mobilitazione di Valerio Mastandrea, convinto sostenitore della sua qualità e della necessità di ottenere i finanziamenti necessari per realizzarlo.

 

 

Candidato per rappresentare il cinema italiano agli Oscar, questo piccolo film, presentato fuori concorso e molto apprezzato a Venezia nel 2015, è l’ultima fatica di Claudio Caligari, scomparso dopo averne appena concluso il montaggio, dopo anni di malattia.

Si tratta di una pellicola a metà fra il racconto e il documento, ambientato in una delle più “maledette” periferie urbane: quella di Ostia, degradata e quasi abbandonata a se stessa, che ricorda le periferie raccontate per il cinema e nei romanzi dal grande Pier Paolo Pasolini.

 

I protagonisti, Cesare e Vittorio (rispettivamentei Luca Marinelli e Alessandro Borghi) sono amici dall’infanzia e condividono le stesse speranze e la stessa attesa di un futuro tutto da vivere all’insegna della comune e smodata brama di accumulare le esperienze più estreme della  violenza e della droga, per evadere dal destino disperato di emarginazione a cui sembra che nessuno, nato in quel luogo, possa sfuggire.

Secondo i due giovani, poco più che ventenni, per sottrarsi alla legge che le bande di criminali  impongono a chi vive da quelle parti, servono arroganza e violenza, oltre che molti soldi, che essi ottengono occasionalmente con qualche lavoro, ma più facilmente con la produzione e lo spaccio della droga- sintetica e no – opportunamente tagliata.

 

Dopo uno sballo pericoloso che lo ha messo a rischio di impazzire, però, Vittorio decide di farla finita con quella vita e di mettersi a lavorare: non sa far molto, per la verità, ma un lavoro da muratore, senza troppo pretendere, gli pare dargli quanto gli basta per sopravvivere, ridimensionando i progetti più ambiziosi. Ha trovato una donna che gli piace e che ha un figlio: lo alleverà come se fosse suo.

Cesare, invece, sembra resistere: ha un passato molto doloroso e un presente che sta diventando terribile: una sorella è morta di AIDS, lasciando una bimba a cui ha trasmesso la malattia, che egli ama molto teneramente e di cui ora si occupa sua madre. Con loro egli vive portando ogni tanto un po’ di denaro, frutto dello spaccio e dei furti, che perpetuano la sua scelta di vita violenta, irreversibilmente legata alla micro-criminalità dei bulli di periferia.

 

 

 

 

 

Quello che maggiormente colpisce nel film è che le vite parallele di Cesare e Vittorio, per quanto divergano negli sviluppi e negli esiti, di cui, ovviamente, non voglio anticipare troppo, sono pressoché identiche: è infatti molto difficile anche per Vittorio staccarsi completamente da quel mondo equivoco e ai margini della legalità, dal momento che lo stesso suo lavoro è un lavoro illegale, “in nero”: lo stesso padrone, che può dargli o togliergli la giornata a proprio insindacabile arbitrio, è colui che fornisce la droga a Cesare perché la spacci e la tagli. 

I guadagni puliti di Vittorio sembrano diventati insufficienti alla donna che ama per mandare avanti la famiglia e offrire qualche prospettiva al figlio, così da indurla a integrarli con un’attività che, in quest’ambito, non si sa se sia un lavoro vero o una copertura per qualcosa di poco chiaro (o di chiarissimo, ma inconfessabile). 

 

Il destino dei protagonisti dell’intera narrazione sembra segnato inesorabilmente dalla loro appartenenza territoriale e sociale, né la sorprendente scena finale, poetica e apparentemente aperta alla speranza, lascia intravedere un futuro molto diverso, in assenza di un progetto politico che, soprattutto attraverso la scuola, permetta davvero di ipotizzare che un futuro migliore sia possibile a questi ragazzi di strada, il cui disagio non sembra interessare a nessuno.

Un potente e durissimo film di denuncia, dunque, vero pugno allo stomaco di chi, accontentandosi del proprio stato di benessere, volutamente ignora o criminalizza facilmente i disperati senza prospettive: il suo insolito linguaggio sembra una ventata di aria fresca nel cinema italiano un po’ asfittico e spesso lontano dalla realtà del paese.

 

Chi vuole può leggere QUI una bella intervista su Claudio Caligari, condotta da Marco Giusti a Valerio Mastrandrea, che ha coraggiosamente prodotto questo film.

 

 

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