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Va' e uccidi

Regia di John Frankenheimer vedi scheda film

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La recensione su Va' e uccidi

di maurizio73
7 stelle

Giovane sergente reduce dalla guerra di Corea, insignito al ritorno in patria della medaglia d'onore per aver salvato la sua pattuglia da un'imboscata nemica, è in realtà una inconsapevole spia dormiente manipolata da un insospettabile agente americano al servizio del blocco comunista: la propria madre. Grazie all'intraprendenza di un suo commilitone, il colonnello Bennett Marco, viene alla luce una pericolosa macchinazione spionistica che punta direttamente al vertice più alto del potere politico americano.
Primo della cosidetta 'Trilogia della Paranoia' (insieme ai successivi 'Seven Days in May' - 1964 e 'Seconds' -1966) e tratto dall'omonimo libro di Richard Condon sceneggiato da George Axelrod che lo produsse insieme all'autore, è un thriller fantapolitico di ipnotica lentezza e latenti suggestioni freudiane che sceglie di scoprire apertamente le carte per puntare tutto sull'ineluttabile esemplarità del finale drammatico e dove, tra un sarcastico scimmiottamento del maccartismo e agghiaccianti sequenze hitchockiane, lo spauracchio del pericolo rosso sembra una irridente bandierina sventolata sugli occhi di una politica americana di ridicole marionette. Condotto con sagacia lungo il doppio binario della manipolazione ipnotica del subconscio e di un provvidenziale e salvifico risveglio delle coscienze, il film si sposta sul terreno di una contrapposizione ideologica che si trasforma presto in una macchinosa corsa contro il tempo tra i piani di una misteriosa coalizione sino-sovietica in campo ostile (il nostro agente a Washington!) e la deterrenza di un controspionaggio eroico che ha il volto sornione e ottimista del Frank nazionale, alternando ironia e tensione nella plausibile inverosimiglianza di una trama surreale tra donne manipolatrici, succubi edipici, teste di legno, regine di quadri e re di cuori. Forse poco efficacie sul versante del ritmo e della congruenza narrativa, ci guadagna di più sull'insinuante doppiezza delle scene madri (la scena onirica del condizionamento ipnotico davanti a una platea di accademici comunisti dell'omicidio eterodiretto e quella dell'ambiguo mascheramento della bella Jocelyn), la spiazzante simbologia del potere (tra quadri di Lincoln, gigantografie di Stalin e Mao Tse-tung e ammiccanti regine di quadri) e le indovinate caratterizzazioni di interpreti principali e caratteristi (Angela Lansbury ed Henry Silva su tutti).
Prototipo di un cinema della paranoia politica con eccellenti epigoni (vedere per credere l'appassionante 'Telefon' di Don Siegel del 1977) vanta un riuscito remake di Jonathan Demme del 2004 (uno dei pochi,insieme a William Friedkin e David Mamet in grado di confrontarsi efficacemente col soggetto) aggiornato ai tempi della guerra in Iraq e delle corporation non governative, con il bravo Liev Schreiber al posto dell'inespressivo Laurence Harvey e l'aitante Denzel Washington che non fa rimpiangere l'ardore patriottico del grande Frank Sinatra. Conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti fece sfiorare l'Oscar alla bravissima Angela Lansbury come miglior attrice non protagonista.

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