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Urga - Territorio d'amore

Regia di Nikita Mikhalkov vedi scheda film

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La recensione su Urga - Territorio d'amore

di OGM
8 stelle

Leone d’Oro nel 1991. Un film completamente dimenticato. Eppure così particolare, con quella narrazione sopra le righe che mantiene il dramma lontano dal pianto e la fantasia immune dalle sofisticherie dell’arte. La storia di Gombo, un pastore mongolo che, ai tempi della perestrojka, vive con la famiglia in una yurta in mezzo alla steppa, si colloca in quell’alveo di delicato e pittoresco realismo in cui il documentario incontra la ballata popolare: gli eventi della quotidianità raccontano  l’alternarsi delle epoche attraverso le preoccupazioni della gente comune, in cui si riflette il loro rapporto con un mondo in evoluzione, capace di riservare sorprese di ogni genere e di lanciare, con esse, sfide sempre nuove. Agli inizi degli anni novanta, il processo di urbanizzazione e globalizzazione e i mutamenti culturali dovuti all’influenza della Cina e dell’Unione Sovietica sono ormai arrivati a lambire anche le zone più sperdute del paese, portando echi stranieri (il controllo delle nascite, un primo accenno di industrializzazione, i divertimenti di stampo metropolitano) che sono, per le comunità rurali, sia fonte di attrazione, sia causa di inquietudine.  In quel perfetto, primordiale equilibrio tra uomo e natura cominciano ad irrompere elementi estranei, e di disturbo, come un poster di Sylvester Stallone, una moglie che si nega al marito per non avere altri figli, o un lavoratore venuto dalla Russia per prendere parte alla costruzione di  una strada. Inizialmente è lui, Sergei, col suo camion, la sua musica nostalgica e la sua schiena tatuata di ex-combattente, ad interpretare il ruolo dell’intruso: un goffo attore finito dentro un film sbagliato, che si guarda intorno stupito e cerca di arrangiarsi come può. La sua gioia e il suo dolore sembrano artificiosi, caricati, finti,  oltremodo stonati sullo sfondo di un’immensità che appare totalmente quieta e indifferente. Contemporaneamente, la sua sensibilità di individuo  civilizzato è messa a dura prova da quello scorcio di universo, semplice e silenzioso, che assorbe, con la stessa ancestrale tranquillità, tutti gli stimoli più crudi, dall’odore della morte al sapore dei cibi piccanti. L’attrito con il mondo circostante trasforma Sergei in una sorta di burattino privo di corazza, che si ritrova a combattere nudo contro mostri tanto primitivi quanto invisibili, da cui si sente direttamente toccato nella carne. Il suo atteggiamento a tratti scostante, a tratti scomposto, esprime la follia del disadattato, che non riesce a contrastare l’ostilità dell’ambiente, e quindi dà, alla disperazione, uno sfogo teatrale che dissimula un grido di aiuto. Così si manifesta la crisi del pioniere, di colui che si sente fuori posto in un lembo di futuro che gli si sta lentamente allargando intorno: una realtà diversa con cui bisogna fare i conti, anche se non si sa ancora bene come. Come Sergei deve abituarsi a condividere, con Gombo, l’utopia della Grande Madre Russia,  così Gombo deve imparare a usare il televisore, la bicicletta, i profilattici. Entrambi sono alieni rispetto al pianeta che sta cambiando sotto i loro piedi: e questa dissonanza ne fa delle piccole caricature, la cui virilità risulta comicamente offuscata da quel misto di imbarazzo e curiosità che caratterizza il primo contatto con qualcosa di intrigante e del tutto sconosciuto. La tensione di questo film è eccitazione allo stato puro, che è quella derivante, in egual misura,  dalla paura e dalla meraviglia, e quindi tanto confusa da tingersi di una puerile ingenuità.  La visionarietà e l’incoerenza fanno parte del gioco, mentre i contrasti sbocciano subito in paradossi, in un terreno ancora troppo incolto perché i frutti della sintesi vi possano giungere a maturazione. Urga è una storia di stonature e di anacronismi, che non sembrano in grado di dialogare tra loro, né di farsi la guerra, e quindi si mescolano pacificamente in un calderone privo di uno stile definito, in cui ogni combinazione sembra possibile: un pianista in smoking in sella ad un cavallo da tiro, l’esercito di Gengis Khan che insegue un uomo in bicicletta, Gombo e Pagma che vedono se stessi dentro il teleschermo.  Il sogno, per l’ennesima volta, anticipa il futuro, e lo fa, come suo solito, sfidando apertamente la realtà. 

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