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Steve Jobs

Regia di Danny Boyle vedi scheda film

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La recensione su Steve Jobs

di barabbovich
7 stelle

A soli due anni dal precedente biopic sul guru della Silicon Valley e a cinque dalla morte, ecco arrivare nelle sale cinematografiche la meno acquiescente e agiografica biografia su Steve Jobs (senza contare il documentario firmato da Alex Gibney, Steve Jobs: The Man in the Machine). A differenza di Jobs, il pessimo film di Joshua Michael Stern, qui Danny Boyle non fa sconti alla personalità di una delle icone pop più fasulle di tutto il Novecento, insieme a quella di Karol Wojtyla. Di quell'uomo avidissimo, apofantico, anaffettivo (e mi limito agli aggettivi spregiativi con la A), incapace di leggere un circuito o di scrivere una sola riga di comandi informatici, il film del regista inglese mette in risalto soprattutto l'aspetto umano, a dir poco deficitario, per usare un eufemismo. Dal protratto mancato riconoscimento della figlia ai continui tradimenti ai danni di amici e colleghi, Jobs proseguì senza alcun ritegno la scalata ai vertici dell'industria informatica, diventando ben presto il miliardario senza scrupoli e il millantatore capace di rubare ad arte le idee altrui che era. Fautore di un sistema informatico inespugnabile per gli acquirenti e totalmente autoreferenziale, Jobs patì gli alti e i bassi della sua protervia, con grandi successi commerciali presso la Apple e altrettanti clamorosi fiaschi. Non a caso, la regia di Boyle (che muove dalla scenaggiatira di Aaron Sorkin, già autore del biopic su Zuckerberg, The social network) si concentra quasi esclusivamente sui backstage del lancio dei tre prodotti che portarono il suo segno (per altrettanti atti, contrassegnati da una diversa cifra stilistica), dal Macintosh del 1984 all'iMac del 1998. E lo fa con una scelta espressiva tanto sfumata quanto indovinatissima: quella di mostrare persone che origliano continuamente da dietro le porte, in quel mondo di squali di cui Jobs, la scorrettezza fatta persona, era il campione indiscusso. Con la sua mimica limitatissima, Fassbender presta all'industriale statunitense più corpo che anima, offrendo un assist involontario ai molti comprimari che, come per ipersonaggi che rappresentano nella storia vera, non hanno nulla da invidiare al protagonista.

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