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L'uomo di Laramie

Regia di Anthony Mann vedi scheda film

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La recensione su L'uomo di Laramie

di fixer
8 stelle

 

I film di Anthony Mann sono straordinariamente semplici e, al tempo stesso, affascinanti. Qualsiasi suo film non risulta noioso, anche se c’è sempre il lieto fine ad aggiustare tutto, il protagonista buono e l’antagonista cattivo, eccetera. A salvare i suoi film sono le storie che raccontano, chiare, credibili, fondate, realistiche ma anche con un fondo romantico, un significato morale, un ottimismo vitale che, pur messo a dura prova dalle circostanze negative, alla fine riesce a trionfare.

C’è un leit-motiv che percorre tutta la filmografia western manniana e cioè la violenza necessaria del giusto per combattere le forze del male. I suoi eroi  non sono, di solito, pistoleros, militari in divisa, sceriffi e avventurieri, persone cioè che quotidianamente sono in lotta contro banditi, mascalzoni e malvagi. L’eroe manniano è di solito un uomo pacifico che svolge lavori  tutt’altro che pericolosi. Magari, nel passato, ha avuto problemi con la legge (DOVE LA TERRA SCOTTA, LA’ DOVE SCENDE IL FIUME) oppure è un ex militare (IL PASSO DEL DIAVOLO) o un militare in missione in borghese (L’UOMO DI LARAMIE)o un ex sceriffo (IL SEGNO DELLA LEGGE), ma è di regola un uomo che vive la sua vita in pace con il mondo, dedito al suo lavoro, leale, onesto e generoso.

Non è uno smargiasso, rispetta la donna, non è ricco e vive del suo lavoro, spesso in ristrettezze, ma non si lamenta, non cerca scuse o giustificazioni. E’ uomo esperto e navigato; sa come va la vita ed agisce di conseguenza, convinto che il crimine non paga e che, tutto sommato, il bene alla fine trionfa sempre, specie se aiutato da determinazione e ferrea volontà.

Ogni suo film, invece di risultare noioso o scontato, visto il motivo conduttore che lo anima, presenta sempre qualche motivo di interesse, qualche spunto che evita di cadere nella trappola del racconto edificante, disneyano, buono per essere visto in famiglia e negli oratori parrocchiali.

Nel film in questione, c’è più di uno spunto interessante: pensiamo ad esempio alla rivalità fra due fratelli, uno figlio del patriarca allevatore, l’altro figlio adottivo. Tutto lascia credere che si tratta del classico contrasto fra il fratello buono e il fratello cattivo e non ci si aspetta la sorpresa finale. Oppure pensiamo al tema del possidente severo, burbero, ma fondamentalmente giusto (interpretato alla grande da Donald Crisp) che tenta di riscattare un passato di prepotenze, ma ostacolato in questo suo progetto da un figlio scapestrato e violento. Il tema del vecchio proprietario che controlla un’intera città o territorio è un luogo classico del western. Di solito lo si dipinge come un vecchio collerico e prepotente che non accetta che altri possano mettere in dubbio il suo dominio incontrastato. In altri casi, invece, questo patriarca è diventato poco a poco più malleabile e, pur controllando la città, si dimostra sempre meno propenso ad usare il sopruso e la violenza, ma cerca, per quanto possibile, di vivere un tramonto tranquillo, lasciando ai propri figli il compito di raccogliere, nel rispetto delle regole, la propria eredità.

Il vecchio West, “barbarico”, violento, pionieristico che lascia il passo al nuovo West, fatto di gente comune, piccoli artigiani, commercianti, coltivatori, cow-boys. Ma anche di ferrovia, banche, latifondisti, proprietari di miniere, embrione di quella che sarà l’America moderna, superpotenza mondiale. Lockhart (interpretato da Jimmy Stewart) è venuto a Laramie per far luce su un fatto tragico: la morte di suo fratello, avvenuta in circostanze oscure che egli vuole chiarire. E’ un ex-capitano  che ha lasciato l’esercito per condurre questa indagine. Si finge commerciante e, con l’aiuto di un suo socio (Wallace Ford), arriva a Laramie. Presto si scontra duramente con il figlio di Waggoman, Dave, che prima gli incendia i carri e uccide i muli, poi, in un secondo tempo, lo ferisce vigliaccamente sparandogli a bruciapelo alla mano. Waggoman è un po’ la metafora del West: da un lato, violenza e prepotenza e, dall’altro, desiderio di pacificazione e normalità nel segno della legge. In LARAMIE, c’è tutto questo: bravacci, prepotenti, perfino pellerossa, ma ci sono anche alcuni segni della nascita di una Nazione moderna, rappresentati dagli indiani Yaki che convivono con i bianchi, dalla sconfitta dei fuorilegge e dalla riconciliazione (il matrimonio fra Waggoman e la vecchia rivale è eloquente). Lockhart è l’eroe di un’America che cerca giustizia ma non vendetta, più kennediana che nixoniana. A lui interessa conoscere l’omicida del fratello, non ucciderlo. La sua indagine è conclusa. Ora può tornare a Laramie e cominciare una vita nuova. L’uomo di Laramie è l’uomo del West, solidamente piantato nel territorio di frontiera ma già proteso, in prospettiva, a gettare le basi dell’America moderna, lasciando dietro di sé odio, violenza, sopruso e deciso a fondare una nuova società nel rispetto della legge e dei diritti. Tentativo non andato, per diversi aspetti, ancora in porto, ma questa è un’altra storia.

 

 

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