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Charlot e le salsicce

Regia di Mack Sennett vedi scheda film

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La recensione su Charlot e le salsicce

di scandoniano
5 stelle

In un affollatissimo autodromo, una venditrice ambulante ed un manesco spettatore si contendono un banco di salsicce e finiscono per buttarla in rissa.

 

A guardarlo dopo un secolo, questo cortometraggio appare quasi un film di montaggio, formato da tante gag slegate. Certo se non ci fossero stati sullo schermo i mitici Charlie Chaplin e Mabel Normand, due dei più grandi divi del muto, forse oggi la pellicola sarebbe dimenticata e non avrebbe nessun valore artistico. Invece di recente ha addirittura subito un restauro, come molte altre pellicole dell’attore inglese, proprio per il valore storico e culturale, più che per quello estetico e dunque intrinseco all’opera.

È uno dei ben 36 film girati da Chaplin nel solo 1914, quando, agli esordi, era sotto contratto con la Keystone di Mack Sennett. La regia della Normand (notoriamente legata al produttore anche da una liaison amorosa), nonché la fama ancora relativa della maschera di Charlot, pone la Normand come protagonista e Charlot, non ancora ben definito nel costume di scena (qui ha un grande fiore all’occhiello e un cappotto da signore, oltre ai soliti bombetta, bastone e scarponi da clown), come figura quasi secondaria.

Non a caso, il film in origine era intitolato “Mabel’s Busy Day”, tradotto in “Mabel ha una giornata complicata”, a testimonianza del clamoroso richiamo dell’attrice, sempre e comunque citata prima anche nel cast artistico rispetto a quello che si rivelerà uno dei più grandi attori di sempre. Solo, per l’appunto, l’enorme successo ottenuto da Chaplin negli anni successivi (ed il percorso inverso destinato al nome dell’attrice statunitense), hanno poi fatto prevalere il titolo in italiano “Charlot e le salsicce” o, meno conosciuto, “Charlot commerciante”.

Il film, confrontato con altre pellicole dei periodi successivi, e ancor di più con quelle dell’epoca d’oro della First National o della United Artists, mostra alcune anomalie, nonché altrettante ingenuità. Nella prima categoria rientrano, oltre al suddetto abbigliamento di Charlot, anche la natura violenta del protagonista: di risse dell’omino ne abbiamo viste e ne vedremo tante ancora nel prosieguo della carriera, ma la brutalità dei colpi inferti (soprattutto dei gran calcioni al petto) è qualcosa di inatteso per chi ha in mente lo Charlot più conosciuto, dedito più all’astuzia che alla forza). Riguardo le ingenuità, dovute alla giovane età del mezzo (non ancora giunto al suo ventesimo anno di età), si segnala che le comparse sono dei veri e propri spettatori-attivi, ossia un pubblico che assiste con una prossemica inequivocabile ad uno spettacolo splapstick (che in quanto ripreso dalla cinepresa diverrà anche un film - ma che intanto è uno spettacolo di strada); ed anche le scenografie hanno una funzionalità orientata alle gag, dato che risulta ponderata perfino la distanza del pubblico dagli attori, soprattutto rispetto ad uno scatenato Chaplin.

Un film, a guardarlo dopo cento anni, inevitabilmente banale, ma dal grandissimo valore artistico e storico.

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