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Lion - La strada verso casa

Regia di Garth Davis vedi scheda film

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pippus

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lion - La strada verso casa

di pippus
9 stelle

LION,  ovvero Leone, non è altro che il significato in lingua Hindu della corretta pronuncia del nome  "Sheroo", il Saroo del film.

 

Ebbene si, questo film è riuscito a commuovere il pippus come raramente gli era capitato in precedenza.  E’ d’obbligo una premessa: non è stata la vicenda in sé a sortire l’effetto lacrima, ma la consapevolezza di ritenere le immagini a cui stavo assistendo non frutto della melliflua fantasia di chicchessia quanto, piuttosto, la sostanzialmente fedele trasposizione di un angosciante evento realmente vissuto!

Già, e per “sostanzialmente fedele trasposizione” intendo il risultato di ciò che ho avuto la premura di cercare e reperire in rete prima della visione, onde poter valutare in quale percentuale la inevitabile manipolazione della regia possa aver influito nella trasposizione filmica di una storia vera (e a questo scopo è consigliabile documentarsi possibilmente a priori). Nel caso in oggetto, non trattandosi di un documentario, ritengo tale percentuale assolutamente fisiologica, e questa considerazione fa sì che io rispetti (ovviamente) ma non condivida l’essenza di alcune critiche negative rivolte al regista relativamente a questo suo lavoro (tra l’altro il suo primo lungometraggio). A quanto si legge, Garth Davis ha seguito il tutto fin dalla fase di preproduzione assistendo personalmente al primo incontro (in India) tra la vera madre adottiva e la madre biologica di Saroo ottimizzando, e prendendo a cuore, ogni particolare che potesse favorire il necessario e giustificato phatos sulla vicenda. La stessa Kidman, contattata da Davis negli States, pare abbia voluto immergersi nel contesto dialogando con i veri vicini di casa dei Brierley (questo il cognome dei genitori adottivi) dichiarando di essersi commossa più volte.

Sunny Pawar

Lion - La strada verso casa (2016): Sunny Pawar

L’ “astuzia” poi di presentare in chiusura i veri protagonisti non solo non la riterrei tale, ma pertinentemente dovuta agli spettatori i quali, in tal modo, possono prendere atto delle inevitabili differenze somatiche che comunque non inficiano, nel modo più assoluto, la bontà del girato. Ovviamente non sfugge il fascino della Kidman (seppur attenuato dall’acconciatura peraltro fedele alla vera Sue) ma ritenere negativo questo aspetto, come mi è capitato di leggere, equivarrebbe sottoporre alla stessa critica la scelta della Loren da parte di De Sica per “La Ciociara” adducendo che non tutte le popolane partenopee godevano dello stesso fascino!

Sue Brierley nel corso della pellicola asserisce, dialogando con Saroo adulto, di aver optato per l’adozione non per motivi biologici ma, piuttosto, per motivi etici e morali; e questo risulta agli atti ma, ovviamente, si tratta di una verità di cui lei sola (la vera Sue) è custode. Non nego che lo svolgersi delle varie sequenze sia a volte inframmezzato a qualche ” capriccio” registico tendente a enfatizzare l’aspetto lacrimevole del contesto, ma sono convinto che non saremmo in errore nel considerare questi come “edulcoranti” volti ad attenuare l’indubbio vissuto amaro del Saroo bambino prima e, non di meno, del Saroo adulto dopo. E’ altrettanto evidente il maggior coinvolgimento della platea nel corso della prima parte  (quella del girone dantesco indiano) rispetto al seppur non indifferente travaglio psicologico del protagonista nel civilizzato e ricco continente australiano oggetto della seconda parte ma … che piaccia o meno questa era stata la realtà, con questi genitori ad accoglierlo e a occuparsi della sua educazione, e con questa ragazza (la Rooney Mara di “Carol”) a seguirne e condividerne le gioie e gli affanni. A chi lamenta un’eccessiva stasi del prosieguo australiano rispondo sarcasticamente che ci saremmo divertiti forse di più se il piccolo indiano, anziché essere adottato dalla famiglia Brerley, fosse stato adottato dagli alieni ma, mi spiace per alcuni irriducibili, questa sarebbe stata un’altra storia. Intendo con questo che a volte sarebbe forse consigliabile non lasciarsi coinvolgere eccessivamente dalla “sindrome del cinefilo” la quale, mentre stiamo attraversando una foresta di abeti perfettamente verticali, induce sovente a soffermarci a lungo e con dovizia di particolari sull’unico abete storto!  Ritengo invece utile meditare semmai sul profondo tema innescato dall’incredibile vicenda di questo povero bimbo di soli cinque anni: è stato fortunato o meno? E il suo è stato un destino programmato da un superiore Disegno Intelligente? Ma, se così fosse, dovremmo quindi accettare un Disegno “dissennato" per il fratello Guddu e per tutte le altre migliaia di bambini la cui sorte, e non solo a quelle latitudini, ha serbato futuri meno rosei ? Rifletto ma non mi esprimo, ognuno in base alle proprie esperienze proverà sensazioni diverse che potrà eventualmente confrontare con amici e confidenti.

Dev Patel, Priyanka Bose

Lion - La strada verso casa (2016): Dev Patel, Priyanka Bose

Tornando al film, consiglierei l’umiltà di accettare quanto ci viene proposto al lordo delle varie sequenze che potremmo ritenere essenziali o meno e, semmai, compenetrare intimamente nel contesto onde poterci rivolgere ponderatamente la domanda su come avremmo reagito e provato noi nello stesso infelice frangente. Consiglierei altresì di approcciarsi alla visione possibilmente esenti dai preconcetti cronici cui poc’ anzi accennavo, e lasciarsi invece trasportare dal turbinio inquietante e angosciante vissuto dal piccolo Saroo a Calcutta, davvero al pari di una minuscola barchetta in balia dell’oceano in tempesta. Non soffermiamoci sugli insignificanti particolari, tipo l’imitazione dei gesti con il cucchiaio, escamotage adottato dalla sceneggiatura per organizzare il ricovero del piccolo in un poco raccomandabile orfanotrofio

(non in riformatorio come riportato da alcuni); certo si poteva optare per una scelta più asettica attenendosi freddamente alla documentazione scritta e ricavarne un prezioso documentario (magari presentandolo a ferragosto anziché nel periodo natalizio), ma siamo consapevoli che le produzioni debbano rispondere a leggi di mercato atte ad ottimizzare il profitto (nello stesso periodo escono peraltro anche altri lavori noti con il temine di “cinepanettoni”), si tratta quindi di valutare se le strategie messe in atto per ottemperare a tali obblighi siano deontologicamente accettabili e permettano nel contempo di non inficiare la valenza del risultato finale. Di una cosa sono certo, se di documentario si trattasse, noi non saremmo qui a disquisirne e a scriverne! A corroborare la serietà della regia nell’esporre l’odissea psicofisica del venticinquenne Saroo entra in gioco l’iniziativa della stessa “Google Inc” che pare abbia invitato il vero Saroo a esporre la sua vicenda durante un incontro internazionale alla presenza dell’ex CEO della Compagnia Eric Schmidt. Proprio avvalendosi del programma di telerilevamento satellitare “Google Heart” (che, a quanto risulterebbe, solo dal 2007 nella sua versione 4.2 permise la visione in 3D degli edifici in alcune zone prima non servite) il protagonista riuscì a individuare il suo villaggio di origine. Concludendo, una fiction cinematografica ben orchestrata da un'efficace regia e supportata da una recitazione eccellente oltre che da una fotografia splendida a cornice di inquietanti inquadrature alternate a incantevoli spiagge; in due ore si narrano i 25 anni di un dramma personale e famigliare nel quale lo spettatore non può non sentirsi coinvolto emotivamente, sia durante la proiezione del film sia nel “back stage” finale con le immagini dei veri protagonisti, tenendo presente che non ci vengono mostrati affinché si inneschi una discussione sulle maggiori o minori grazie estetiche di questi ultimi nei confronti dei loro avatar cinematografici, ma per altri e più nobili fini.

Bene, e qui chiudo in quanto penso di avervi già tediato a sufficienza per questo inizio d’anno quindi…

Un saluto rivolto a tutti e un augurio a chi è in salute e in particolare a chi non lo è ma confida di tornarci presto.

 

 

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