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Il club

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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Tato88

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La recensione su Il club

di Tato88
7 stelle

Pablo Larraín si trova attualmente a metà del mio spettro di giudizio, tra il "mi piace" e il "non mi piace". Ho adorato “Tony Manero" e non ho potuto soffrire "No - i giorni dell'arcobaleno". L'ho trovato poco interessante e faticoso da guardare a causa soprattutto della fotografia di bassa qualità (certamente voluta e contestualizzata, ma comunque spiacevole da guardare). "Post Mortem" ancora mi manca, devo recuperarlo al più presto. Ebbene, in questo fifty-fifty di aspettative e sospetti, "El Club" non cambia la percentuale. A memoria mia si tratta sicuramente del suo film stilisticamente più pulito. Niente camera a mano, bensì inquadrature fisse. Addirittura qualche lento carrello sui corpi per lo più immobili dei personaggi. La fotografia rimane un po' slavata e l'atmosfera è costantemente tesa, in penombra, sempre nuvolosa e bluastra, ricorda un po' il surrealismo inquietante e malinconico di Bergman. Così come le musiche, corde di violino tirate al limite della rottura e l'intera colonna sonora, costantemente battuta dal vento freddo e implacabile proveniente dal mare cileno.

Tutto sommato il nuovo film di Larraín non è male, anzi. Poco aggiunge alla sua filmografia votata alla denuncia di molteplici aspetti della società cilena. Qui in particolare si scaglia contro la chiesa cattolica e i suoi meccanismi di potere e protezione. I quattro preti protagonisti sono reclusi da anni in un'abitazione sul mare per scontare peccati molto gravi. Il sopraggiungere di un nuovo prete che si dichiara innocente e il suo successivo suicidio destabilizzano parecchio la routine e la tranquillità del piccolo "club", i cui membri saranno disposti a commettere azioni terribili pur di ripristinare la serenità della casa. E soprattutto non troveranno grosse difficoltà a portare dalla loro parte il giovane e idealista funzionario del Vaticano che è giunto per indagare sulle ragioni e le modalità del suicidio.
La pellicola scorre, si fa guardare e si segue senza difficoltà. Rimane però qualche dubbio circa le mire dell'intero progetto, che in qualche modo ho avvertito molto semplici e molto poco originali. La sceneggiatura ha una struttura a tesi, ma ne scaturisce una strategia visivamente manipolatoria, una narrazione costruita per portare lo spettatore a vedere la questione dal punto di vista del regista, senza che gli venga offerto il beneficio del dubbio. Se poi la versione di Larraín sia quella giusta o meno, è un'altra storia. Ma "El Club" rimane un film fittizio, senza un’idea o un personaggio forti al contrario di quanto accadeva nei suoi film precedenti. Persino lo stile crudo e cinico tipico del regista si può rintracciare appena appena nelle parole del povero Sandokan che dalla strada urla implacabile a mo’ di cantilena le sevizie infertegli dai preti in giovane età.

 

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