Regia di Samuel Benchetrit vedi scheda film
Non esistono cuori infranti nel condominio di questo film: esistono condòmini, invece, che si ignorano reciprocamente pur invocando l’unanime solidarietà quando le spese da decidere in assemblea richiedono la totalità dei deliberanti. Così era accaduto per installare l’ascensore: l’opposizione del solo Sterkovitz (Gustave Kervern) fu presto risolta vietandogliene l’uso, senza altre discussioni, cosicché, quando il poveretto ne ebbe davvero bisogno (un incidente lo aveva ridotto su sedia a rotelle) fu costretto a usarlo di notte alla chetichella, senza riuscire a parlarne con nessuno. Questo condominio è, infatti, abitato da persone che non riescono a comunicare fra loro e vivono perciò chiuse in una sorta di autoreferenziale solipsismo, inventandosi un’esistenza fittizia intorno alla quale costruiscono la propria immaginaria identità. Sterkovitz, per esempio, si sposta solo di notte, per rifornirsi al distributore dell’ospedale di cibi e bevande, e intreccia con la solinga infermiera di turno (Valeria Bruni Tedeschi) un’ impacciata conversazione, fingendosi reporter per conto della National Geographic e mostrandole fotografie scattate, invece, in vista dell’incontro con lei…Allo stesso modo, Jeanne Meyer attrice cinematografica un tempo famosa e ora dimenticata da tutti (Isabelle Huppert) vive della memoria del proprio passato glorioso, in attesa di un nuovo improbabilissimo contratto, sul quale molto fantastica, mentre lo studente Charly (Jules Benchetrit), la cui madre, per lo più assente, lo lascia da solo a gestire la giornata, intreccia con lei uno strano rapporto filiale, fingendo interesse per le vecchie pellicole, che invece lo annoiano. Vive da sola anche un’altra abitante di quello stabile, la magrebina Madame Hamida (Tassadit Mandi), che spesso riempie le sue giornate visitando il figlio in prigione. L’arrivo inaspettato di John (Michael Pitt), astronauta americano che ha perso la rotta ed è piovuto letteralmente dal cielo, le offre l’occasione per ospitarlo con vera gioia per due giorni in quella casa, e di trattarlo davvero come il figlio che tanto le manca, coccolandolo e vezzeggiandolo con amabile semplicità.
I personaggi di questo film, che stentano a riconoscere la loro insensata solitudine esistenziale, si muovono sullo sfondo di un simbolico paesaggio urbano anonimo e squallido, ben rappresentato da quel nastro di aridissimo asfalto che è la strada senza direzione che attraversa la banlieu con i suoi casermoni privi di storia. Non è un caso che Asphalte sia proprio il titolo originale (e assai indicativo) di questa pellicola, la cui versione italiana (Il condominio dei cuori infranti), invece, ne suggerisce una lettura comico-sentimentale ben lontana, almeno a mio avviso, dal suo significato. Se di “comicità” si può parlare, allora va riferita ai numerosi effetti demenziali e grotteschi che scaturiscono dallo scarto, molto evidente in tutti i personaggi, fra il mondo immaginato e la realtà quotidiana, da cui nascono dialoghi e situazioni senza senso razionale, quasi da teatro dell’assurdo, in cui i fatti che si succedono appaiono assai privi di logica. Certo, se ne può ridere, e talvolta si ride, ma non ci si può staccare mai del tutto dalla coscienza dolorosamente tragica della condizione umana, che gli eroi del film ben interpretano.
Un film che ho personalmente molto apprezzato.
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