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Tutti vogliono qualcosa

Regia di Richard Linklater vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Tutti vogliono qualcosa

di Speusippo
9 stelle

A uno sguardo superficiale “Tutti vogliono qualcosa”, presentato in anteprima al South By Southwest Film Festival nel 2016, potrebbe risultare un film alquanto trascurabile: gli anni Ottanta, la Texas University, il baseball, i tanti party studenteschi e il titolo tratto da un brano dei Van Halen sembrerebbero condurre a un mero film di genere, infatti. Chi non conosce le pellicole con le quali da qualche decennio a questa parte, senza temere eccessi di trivialità, l’industria cinematografica statunitense celebra il mondo dei college? Ebbene: altro è il caso relativo al film di Richard Linklater, che con “Tutti vogliono qualcosa” ha compiuto un’operazione concettualmente paragonabile a quella che nel ’96 i fratelli Coen realizzarono attraverso “Fargo”. In sostanza, recuperando in forma parziale quanto il critico Tullio Kezich scrisse del cult prodotto dai Coen, innestare nella struttura di un film di genere qualche cosa di intellettualmente rilevante.

 

“Tutti vogliono qualcosa”, che insiste intorno a tematiche considerabili al pari di costanti rispetto alla carriera di Linklater, è ambientato – come specificato più in alto – nel 1980 in Texas. Jake Bradford (B. Jenner), giovane matricola ammessa al college grazie al proprio talento nel baseball, raggiunge la residenza destinata a lui e ai suoi compagni di squadra nel fine-settimana antecedente l’inizio delle lezioni. Tre giornate d’incantata sospensione. La pellicola lo segue durante la costruzione delle prime amicizie, l’inserimento nella squadra di baseball, la partecipazione a serate d’ogni genere, il tentativo di compiere le prime conquiste amorose, e tanti altri momenti di noia gioiosa e spensierata, feconda ed eccitante, aulente di vita.

 

Per alcuni la simbolica prosecuzione di “La vita è un sogno”, per altri l’ideale prosieguo di “Boyhood”: sicuramente “Tutti vogliono qualcosa” raccoglie elementi presenti in entrambe le precedenti fatiche di Linklater, a cominciare dall’impostazione con cui viene narrata la vicenda. Servendosi della fotografia di Shane Kelly, i cui pieni colori restituiscono splendidamente le atmosfere più rappresentative degli anni Ottanta, e dei costumi di Kari Perkins, che contribuiscono magnificamente alla rievocazione di quel periodo, Linklater si immerge nei fatti e nei personaggi raccontati con approccio quasi documentaristico. Il regista compie un’intelligente eclisse, lasciando che il suo sguardo si posi senza urgenze tra i personaggi e le loro imprese: ne scaturisce uno spazio tramite il quale l’empatia rilasciata dalla brigata posta al centro del film riesce a congiungersi con lo spettatore. E così si dimenticano tanto la necessità di un protagonista che funga da eroe quanto le solite consuetudini legate all’organizzazione della storia: tutto diviene gagliarda e ridente sospensione, un luogo d’immagini che regalano a chi osserva l’impressione di poter sorseggiare serenamente quella rosea nube di sensazioni in cui ognuno ha depositato l’infinita dolcezza dei più festosi attimi di gioventù. Nonostante la radice del film sia profondamente connessa al personalissimo vissuto di Linklater, “Tutti vogliono qualcosa” sprigiona una simpatia universalmente irresistibile: “It’ll slap on a smile on your face that won’t quit”, ne ha scritto il critico Peter Travers. Un plauso dev’essere tributato indubbiamente al cast: dal succitato Jenner a Zooey Deutch, da Glen Powell all’esilarante Juston Street, ogni attore si dimostra a proprio agio nel personaggio interpretato, rendendolo così un tassello prezioso rispetto allo svolgersi della vicenda.

 

La scena conclusiva, avvolta nell’elettrico silenzio che attraversa qualsiasi aula universitaria nel primo giorno di lezioni, è forse la sequenza che meglio consente di cogliere il significato dell’intera operazione guidata da Linklater. Jake, dopo tre giornate di sfavillante giovinezza, prende posto all’interno dell’aula sedendo accanto all’amico Tyrone (T. Baker). Mentre i due chiacchierano scherzosamente, il professore entra e in silenzio scrive sulla lavagna: “Frontiers are where you find them”. Jake, con le braccia appoggiate sul tavolino della propria sedia, medita per qualche istante. Poi, lentamente, sprofonda la testa tra le sue stesse braccia, chiude gli occhi e si addormenta. Un disteso sorriso gli si dipinge in volto. Come in “Boyhood” la fine altro non è che un nuovo inizio. Come in “La vita è un sogno” non esiste momento più incantevole e squisito della giovinezza. “Tutti vogliono qualcosa” è un inno privo di polverose od altisonanti retoriche dell’inquietudine, un poemetto dai caldi colori che dice con modi quotidiani il bello d’essere qui e ora, in un felice angolo di mondo, insieme, in fiore, ridenti.

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